Corriere della Sera

L’amore ossessivo per le mucche per raccontare la Francia rurale

Il regista indaga quella parte del Paese orgogliosa delle proprie tradizioni

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Èuna grande storia d’amore, appassiona­ta, così totalizzan­te da far smarrire il senso della realtà. Come in un melodramma d’antan dove l’eroe si metteva fuori dalla legge e dalla ragione per non perdere l’oggetto della sua passione. In questo caso, forse, ancora più struggente perché la causa di tanto desiderio non è una donna ma una mandria di mucche, quelle a cui il «piccolo contadino» del titolo ha dedicato tutta la vita.

Non è una provocazio­ne né lo spunto per una storia pruriginos­a o men che meno perversa: il film di Hubert Charuel è la storia di un allevatore che ha scelto di dedicare tutto se stesso ai propri animali e, come in un romanzo d’appendice, deve fare i conti con un destino che invece di spingere il protagonis­ta ad affrontare nuove avventure (come nei libri ottocentes­chi) lo ripiega su se stesso, accecato da un «amore» che è diventato talmente assoluto da fargli letteralme­nte perdere la ragione. Senza dimenticar­e, poi, che questo Petit Paysan – Un eroe singolare è anche un grande film sul mondo rurale, su una Francia che vuole restare attaccata alla sua terra, alle sue tradizioni, a un’idea di vita concreta e quotidiana, lontanissi­ma da certe tentazioni della modernità. Il che non vuol dire primitiva — nel film Youtube ha un ruolo fondamenta­le — ma piuttosto che cerca proprio nella fisicità del lavoro, nel rapporto diretto con gli animali (non a caso il protagonis­ta rifiuta i robot per la mungitura), nella fatica di ogni giorno la ragione profonda di una scelta così assoluta. E così francese.

Opera prima di un giovane diplomato alla Femis di Parigi (recentissi­mamente è stato incoronato da tre César), il film di Charuel si apre con un sogno — Pierre (Swann Arlaud) si ritrova faccia a faccia nella propria cucina con una mucca — che sintetizza magnificam­ente il legame che il protagonis­ta ha con le sue 26 mucche: di vicinanza, di amore ma anche di un’esclusivit­à talmente totalizzan­te da invadere tutta la sua vita, sonno compreso.

Alle sue mucche Pierre dedica ogni giorno della sua vita, senza domeniche o vacanze: si è fatto carico dell’attività dei genitori ed è orgoglioso che il suo latte sia il primo della zona per qualità. Altri hanno mandrie più numero- se, metodi di sfruttamen­to più razionali (una mungitura dove non è mai richiesta la presenza dell’uomo, stalle con diffusione di musica), ma nessuno come lui può permetters­i di chiamare le mucche per nome perché nessuno come lui le considera come persone. Per questo, il giorno in cui si diffonde la voce di una misteriosa febbre emorragica che ha costretto ad abbattere tutta la mandria di un allevatore, ecco che l’amore di Pierre si trasforma in paura. E anche peggio.

La sorella veterinari­a (Sara Giraudeau) cerca di rassicurar­lo, poi di farlo ragionare, ma Pierre si comporta da innamorato tradito, da amante abbandonat­o che non vuole guardare in faccia alla realtà. E quando davvero una delle sue mucche rivela i sintomi della malattia, la sua reazione lo porta immediatam­ente a infrangere la legge, a voler nascondere la realtà, ad occultare le prove di quello che non è capace di accettare.

E il film diventa allora la discesa dentro un’ossessione, preda di una paura sempre più incontroll­abile che il film sa trasmetter­e allo spettatore con una economia di mezzi (e una ricchezza di recitazion­e) davvero notevole. Le notizie sul web, le reazioni rabbiose di chi ha avuto gli animali uccisi per non diffondere l’epidemia, l’ambiguità (vera o presunta poco importa) del comportame­nto delle autorità, la complicità che vuole strappare alla sorella, la presenza degli amici e dei vicini che ai suoi occhi diventano intrusioni indesidera­te (e pericolose), sono tutti passaggi di un percorso ossessivo, causato da un amore tanto assoluto quanto fragile.

E il film diventa così una specie di specchio dove ritrovare il rapporto di un Paese con una parte di sé, quella lontana dalle luci della mondanità, orgogliosa della propria tradizione profession­ale, ma anche impaurita della propria marginalit­à, fragile perché sostanzial­mente sola. Una Francia che non è Parigi né Lione o Marsiglia ma che, come faceva l’anno scorso Il medico di campagna, ci sa parlare di cose concrete e di passioni vere.

Il film si apre con un sogno che sintetizza il legame che il protagonis­ta ha con le sue 26 mucche: di vicinanza, di amore, di esclusivit­à

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La scena iniziale di «Petit Paysan»: il contadino Pierre (Swann Arlaud) si ritrova faccia a faccia nella propria cucina con alcune mucche. Il film, debutto del regista Hubert Charuel, è stato premiato da tre César, gli Oscar francesi:...
In cucina La scena iniziale di «Petit Paysan»: il contadino Pierre (Swann Arlaud) si ritrova faccia a faccia nella propria cucina con alcune mucche. Il film, debutto del regista Hubert Charuel, è stato premiato da tre César, gli Oscar francesi:...
 ??  ?? L’autore ● Hubert Charuel, 32 anni, francese: «Petit Paysan», incoronato da tre César, ha segnato il suo esordio alla regia
L’autore ● Hubert Charuel, 32 anni, francese: «Petit Paysan», incoronato da tre César, ha segnato il suo esordio alla regia
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