Corriere della Sera

Doma Marquez, Rossi è terzo

Ducati strepitosa in Qatar nel testa a testa con la Honda: «Ho parlato con la moto»

- DAL NOSTRO INVIATO Alessandro Pasini al. p.

LOSAIL Un cavallo bianco, «anzi bianchissi­mo», che galoppa nel deserto. Un Joker che lo bracca col ghigno dei momenti migliori. Una persona anziana che guida ancora come quando era un giovane dio della motociclet­ta. Tre fenomeni in un sospiro, cinque giri, chi arriva a quella bandiera vince. E a quella bandiera arriva primo Andrea Dovizioso, magnifico come l’avevamo lasciato nel 2017, straordina­rio nel resistere al solito attacco di Marc Marquez e a prendersi finalmente il Qatar, dove negli ultimi tre anni era sempre arrivato secondo. Valentino li insegue appena più indietro, comunque capace di andare a podio per la 23a stagione su 23 di carriera. Stavolta era meno veloce di Andrea e Marc, in futuro chissà. Intanto, il messaggio a chi lo vede bollito è sprezzante: «La Yamaha mi ha rinnovato il contratto solo per rispetto a un anziano... In verità l’unica cosa che conta è la pista: io so come andare forte, si è visto. Credo dipenda dal talento».

La prima gara dell’anno non poteva essere migliore. La Motogp moderna è ormai uno show totale e questa trama del serpentone di sette/ otto piloti che si snoda per tre quarti di gara prima di apparecchi­are la scena madre è davvero roba forte. Così — dopo l’illusione di Zarco primo per 17 giri e poi precipitat­o ottavo, e dopo che anche Rossi aveva mollato al penultimo giro — si sono trovati ancora loro, Andrea e Marc, i padroni del Circo. «È stato un déjà vu», ha sorriso lo spagnolo. E non si riferiva solo al duello ma, ahilui, anche al risultato, identico ad Austria e Giappone 2017. La sua consolazio­ne è che «per me è come una vittoria, perché in fondo non amo questa pista e neanche Austria e Giappone», ma intanto la statistica rimane: MM nel corpo a corpo con Andrea patisce pene infernali.

La mossa finale del Dovi, ormai un classico, è stato solo il culmine di «una gara perfetta». Cominciata al nono posto e finita al primo dopo una rimonta autorevole, serena, ineluttabi­le. Un viaggio che ha saldato memoria e Dna di un pilota ormai totale: «Una sensazione che si possono permettere pochi. Una figata vera. Mentre accadeva ho avuto un flash e ho ripensato a quando correvo nelle minimoto: le gare più belle erano quando partivo dietro, La seconda ieri a Losail è stata quella di Petrucci, quinto, mentre Lorenzo è stato costretto a buttarsi a terra al 12° giro perché gli sono saltati i freni mentre era decimo e anonimo. Perché anonimo? «Io avrei delle risposte, ma non le dico — osserva Andrea —. Non sarebbe corretto». Di certo, anche questo, sommato ai risultati 2017, inciderà sulla trattativa per il futuro. Il tema è noto: Lorenzo non potrà guadagnare ancora dieci volte più del compagno, Podio Accoppiata italiana sul podio di Losail: Andrea Dovizioso, primo, e Valentino Rossi, terzo (Epa) sapevo di essere più veloce e vincevo». Allora era perché papà Antonio gli faceva correre le qualifiche con le gomme stracciate per fargli capire che nella vita si può fare bene con poco. Stavolta è stato solo perché è partito male. Il ritmo lento lo ha aiutato, la sua lucidità ha perfeziona­to il tutto: «Parlavo col mio cavallo bianco, in sintonia totale». È il simbolo della ragione opposto al cavallo nero della irrazional­ità. Andrea vorrebbe essere entrambi, ma è il bianco che lo rappresent­a davvero. E lo ha usato anche nella lotta finale: «Quando Marc mi è arrivato sotto ho detto: è finita. Ma sono restato lucido, ho incrociato la traiettori­a sul cordolo e ho scaricato la potenza della Ducati in rettilineo». Netto, chirurgico, Dovizioso.

Da qui al Mondiale mancano 18 gare, ma intanto siamo uno a zero per lui. sia per questioni di budget che di meriti. La Ducati del resto non può certo privarsi del suo nuovo leader assoluto, dunque Jorge dovrà addivenire a più miti consigli. Oppure, al limite, andarsene non rimpianto. Anche perché ormai Andrea ha conquistat­o pure il popolo ducatista. Un’impresa doppia, perché se c’era uno poco «rosso» nel Dna era proprio lui, così lontano dagli idoli selvaggi tipo Capirossi o Bayliss. «Ma ai ducatisti piacciono umiltà e risultati». La prima è da sempre sinonimo di Dovizioso. I secondi sono tali che da ieri Andrea ha superato il mitico Capirossi nelle vittorie con la Desmo (8 a 7): esiste qualcosa di più ducatista di questo?

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