Né un governo a tempo né la carta Gentiloni Il Quirinale si prepara
Escluso (di fatto) che il premier possa succedere a se stesso
Tra ieri e oggi, con il debutto dei nuovi senatori e deputati, entra nel vivo il percorso che porterà alla nascita della XVIII legislatura. Il giorno chiave sarà venerdì, quando i «mille grandi elettori» (in realtà 950, più il senatore a vita Napolitano) cominceranno a votare per scegliere i presidenti dei due rami del Parlamento. Un passaggio dal quale potremo cogliere indizi sui possibili accordi di governo e pertanto un test molto atteso da un capo dello Stato ormai da settimane sotto pressione. Anche su questo appuntamento, infatti, si intrecciano boatos secondo cui Sergio Mattarella suggerirebbe ai partiti alcuni nomi, e ne sconsiglierebbe altri, entrando così in modo diretto nella partita.
Illazioni che infastidiscono il Quirinale, al pari di certe ricorrenti anticipazioni sulle formule che lui avrebbe «già pronte» per risolvere la crisi aperta con il voto del 4 marzo: in primis l’evocatissimo governo del presidente, che in realtà sarebbe solo l’extrema ratio. Al punto che da lassù si fa sapere che viene giudicata «una facezia» la voce di una squadra di uomini del Colle attiva in Parlamento. Una facezia, spiegano, perché il presidente non si appoggia, né appoggia, alcun partito o parte di partito.
Così, oggi è ovvio che Mattarella si guardi bene dal dispensare consigli sui nomi. Per il semplice motivo di non offrire alibi a nessuno, in una fase di mercato politico destinata a lievitare tra luci e ombre. Si tiene dunque fuori dalle dinamiche parlamentari e dalle loro fatali ambiguità anche se, certo, si augura che le figure sulle quali si giocherà la partita abbiano un profilo «naturalmente istituzionale». Che godano cioè di una riconosciuta autorevolezza e siano considerate al di sopra delle parti.
Soprattutto il capo dello Stato vorrebbe che calasse la tensione sulla presidenza del Senato, una guerricciola attivata da un equivoco: la convinzione - diffusa e però sbagliata - che chi ricopre quella carica sia per forza il destinatario di un incarico da «esploratore», qualora le consultazioni al Quirinale si incartassero. Potrebbe esserlo, sì. Ma la prassi costituzionale mette il vertice di Palazzo Madama allo stesso livello di Montecitorio, in casi simili, e c’è un precedente di Nilde Jotti a dimostrarlo.
Chiacchiere in bilico tra vero, verosimile e falso, come sempre quando sul Quirinale si accendono i riflettori dell’attenzione politica. Prendiamo, per esempio, la presunta ostilità di Mattarella — che qualcuno a intermittenza ripropone — a dare il via a un esecutivo tra 5 Stelle e Lega, se davvero una tale alleanza si dovesse formare. Ora, stando alla rivendicazione di neutralità che lui ogni tanto ripete come un programma del settennato («ho le mie idee ma le devo tenere per me»), il solo ventilare l’ipotesi di suoi sabotaggi davanti a una maggioranza di quell’ampiezza sarebbe una follia. Perché il Parlamento è sovrano e lui per primo deve rispettarlo.
Allo stesso modo sarebbe impensabile pure il memorandum che nel 1994 Oscar Luigi Scalfaro indirizzò nel 1994 a Berlusconi, affidandogli il primo incarico di governo: una sorta di ingiunzione che metteva sotto tutela un esecutivo guardato con perplessità (in Europa e in mezz’italia) vincolandolo a «garantire l’unità nazionale, la solidarietà sociale, la fedeltà alle alleanze internazionali». Insomma, Mattarella potrebbe usare i propri poteri di «stimolo, consiglio e ammonimento» (gli stessi teorizzati da Walter Bagehot nel 1867 in The English Constitution) e fare poco altro, come gettare luce su alcune cose evocate a sproposito da vari attori politici nei giorni scorsi. Per capirci: l’idea che si possa tenere a battesimo un governo a termine è improponibile, in quanto nessun governo può nascere a termine. Traduciamo: il Quirinale non avallerà esecutivi con il solo obiettivo di una nuova legge elettorale per tornare a votare al più presto, magari in autunno.
Da ultimo, tra le suggestioni degli ultimi giorni che chiamano in causa Mattarella, ce n’è una sul premier uscente Gentiloni, di cui qualcuno ipotizza una proroga (con la conferma della stessa squadra di governo) per 10 mesi o anche più. Scenario impensabile, perché implicherebbe un fantomatico accordo di tutti, in Parlamento. A partire dai vincitori che dovrebbero affidarsi a un leader del partito sconfitto. E qui è chiaro che neanche il presidente della Repubblica più accorato e convincente potrebbe, oggi come oggi, sperare tanto.
La distanza Mattarella si guarderà bene dal dispensare consigli lasciando spazio al Parlamento