LA LUNGA CORSA A OSTACOLI DEI DUE PRESUNTI VINCITORI
Si è quasi tentati di scrivere «vincitori» tra virgolette. L’affermazione del Movimento 5 Stelle e della Lega è indubbia. Ma il modo in cui si stanno muovendo nel dopo-voto segnala un eccesso di trionfalismo che non corrisponde ai numeri parlamentari. Luigi Di Maio e Matteo Salvini continuano a definirsi premier in pectore. Eppure, nessuno dei due ha in tasca la maggioranza in grado di garantirgli Palazzo Chigi. E, per quanto riguarda il leader del Carroccio, se forzasse verso l’alleanza con il M5S si ritroverà non a capo della coalizione del centrodestra, ma col suo 17 per cento e Forza Italia contro.
Salvini che domani forse incontra Silvio Berlusconi è già un possibile cambio di passo. D’altronde, andare verso un governo che prescinda da M5S e Lega è difficile; come anche scegliere i presidenti dei due rami del Parlamento contro forze che, in misura diversa, hanno titolo per rivendicare un successo. L’ipotesi che si arrivi a Senato e Camera consegnati a un esponente leghista e uno grillino non è affatto da escludersi. Ma la conseguenza sarà che dopo, i due «vincitori» risulteranno più soli per formare l’esecutivo; e avranno difficoltà a trovare i numeri. Tra l’altro, non si capisce quale dei due aspiranti premier la spunterebbe.
Di Maio vice di Salvini è improbabile. L’unica cosa chiara, tra i seguaci di Beppe Grillo, è che se il loro leader non ce la fa, il Movimento rischia di entrare in subbuglio. E non si capisce quanti nel gruppo parlamentare siano per un’alleanza con la Lega, e quanti col vituperato centrosinistra. Il discorso vale anche all’opposto: Salvini vice di Di Maio dopo che continua a riferirsi al Parlamento come se ne fosse l’azionista di maggioranza, rimane altrettanto complicato. E lo sarebbe ancora di più in caso di rottura con FI: la Lega finirebbe per essere consultata al Quirinale dopo M5S e Pd, più votati.
E se anche riuscisse il miracolo di un compromesso in nome della governabilità tra i due «vincitori», dovrebbero spiegare ai rispettivi elettorati come si conciliano Flat tax e reddito di cittadinanza: una delle contraddizioni tra i loro programmi. L’altra, messa in sordina, è un rapporto con l’europa, l’euro e le alleanze internazionali che li vede ugualmente distanti: a meno che i Cinque Stelle non si rimangino la svolta europeista degli ultimi mesi. Rimane da decifrare come si uscirà dallo stallo che esaspera la rigidità del Pd, diviso sul dialogo con il M5S e perfino sul Quirinale e sul governo di Paolo Gentiloni, attaccati ruvidamente dai renziani.
Quando Di Maio sostiene davanti ai suoi senatori: «Saremo il perno della legislatura», dice una mezza verità. Il perno presuppone che ci si possa appoggiare su altre forze; insomma, su alleati. E questo vale ancora di più per la Lega. Il percorso appare lungo, per trovare una soluzione. E l’impressione è che il Quirinale accetterà qualunque alleanza si formi in Parlamento. Ne prenderà atto, però, non la provocherà. E chiunque dovesse decidere di starne fuori, lo farà di propria volontà, e non perché ne è stato escluso.