Follini: il Pd faccia un’intesa Così salva la legislatura e costituzionalizza la protesta
Marco Follini è stato capo dei giovani Dc, segretario di partito, vicepremier, e ha scritto una decina di saggi sulla politica.
Cosa può accadere ora?
«Vedo due sole possibilità. Un accordo tra 5 Stelle e Lega per chiudere subito la legislatura, tornando al voto; o un accordo, assai più faticoso, tra 5 Stelle e Pd per salvarla, la legislatura».
Non la considera un’alleanza innaturale?
«Innaturale, sofferta e più che controversa. La politica non è il set di My Fair Lady, dove il gentiluomo vittoriano trasforma la fioraia in una dama dell’alta società e se ne innamora. Ma una certa pedagogia fa parte della nostra migliore tradizione repubblicana. E la ricerca del meno peggio scongiura almeno il rischio dell’ingovernabilità, che getterebbe altra benzina sul fuoco della sfiducia».
I 5 Stelle sono nati contro il Partito democratico.
«Chiariamo: il mio personale sentimento verso il M5S è di radicale contrarietà. Trovo insopportabile la loro attitudine a spargere sale su ogni ferita, e difendo a spada tratta la democrazia rappresentativa. Ma l’illusione di confinarli disegnando intorno a loro una barriera di filo spinato non è una virtù, e neppure una furbizia».
Cosa potrebbe fare un governo Pd-5 Stelle?
«Avviare la “costituzionalizzazione” della protesta. E dire agli elettori che il loro messaggio è arrivato a Palazzo. Ed è stato ascoltato».
d Per i dem il contatto con i 5 Stelle è un rito di espiazione e capisco che costi caro
d L’illusione di confinare i 5 Stelle dietro una barriera di filo spinato non è una virtù
Non crede alla possibilità di un governo istituzionale, sostenuto da tutti?
«Sono anni, almeno dal 1978, che la politica ha rinunciato a celebrare quel rito unitario di cui aveva drammaticamente bisogno. Sarei felice se si imboccasse oggi quella strada, ma mi sembra improbabile. Accontentiamoci di fare un piccolo passo in quella direzione. Poi si vedrà».
Salvini è il nuovo capo del centrodestra? Riuscirà a tenerlo unito?
«Mi pare che punti più ad assoggettarlo che a tenerlo insieme».
Lei è stato vicepresidente del Consiglio quando a Palazzo Chigi c’era Berlusconi. Che giudizio ha della sua esperienza politica?
«Berlusconi è un uomo di valore e ha una sua umanità. Ma politicamente ha sbagliato quasi tutto. Doveva pacificare l’italia con il suo passato e se stesso con i suoi avversari. Non ha fatto né una cosa né l’altra».
Berlusconi è finito?
«È finita un’intera classe dirigente, spazzata via dal vento della protesta. Alcuni se ne sono accorti, altri no, altri ancora fingono di non rendersene conto. L’uscita di scena è sempre la parte più difficile per un attore. Ma chi ha un po’ di amore per la politica dovrebbe affrettarsi a cercare i propri successori».
E Renzi ha ancora un futuro? Come mai è diventato così inviso agli italiani?
«Renzi ha pensato che il Paese cercasse un leader, e che il senso della politica fosse tutto nella novità, direi perfino nell’improvvisazione. Sono due errori profondi, ma onestà vuole che si dica che non sono solo suoi. Un ampio coro ha accompagnato la sua ascesa, e non sento grandi ripensamenti ora che comincia la sua discesa».
Renzi farà un suo partito?
«Fossi in lui dedicherei qualche attimo a una riflessione leggermente più profonda».
E il Pd avrà ancora un ruolo da giocare? L’alleanza con i 5 Stelle non rischia di fargli perdere i voti “borghesi” senza fargli guadagnare voti popolari?
«Non parlerei di “alleanza”, semmai di un contatto. Per il Pd si tratta di un rito di espiazione, e capisco che costi caro. Ma comprare un po’ di tempo e chiedere in prestito un po’ di fiducia resta la cosa meno ingiusta da fare. A patto di restituirla, quella fiducia».
E se invece si tornasse al voto?
«Si farebbe un gigantesco regalo agli imprenditori della protesta. Che hanno guadagnato già fin troppo, mi pare».
Che fine ha fatto il centro? Che fine hanno fatto i cattolici?
«Il centro ha perso la sua occasione molto, molto tempo fa. Quanto ai cattolici, dobbiamo ancora metabolizzare il pontificato di Francesco. Oggi è il momento di seminare idee, di ingaggiare una battaglia culturale, possibilmente di evitare di rincorrere le mode degli altri. Le nostre ragioni andranno cercate più in là della strettissima attualità. Che oggi non ci è amica».
E lei cosa farà?
«Io appartengo a un’altra stagione. Nel libro di Marco Damilano è citato un articolo che scrissi a favore di Aldo Moro nel 1969. Avevo quindici anni, è passato mezzo secolo. Seguo la politica con infinita passione e curiosità. Ma ho il senso del tempo. Che, per l’appunto, è passato».