Corriere della Sera

«Sono un uomo (solo per oggi)» Scontro sulla legge per autodefini­rsi

Londra, proteste e «duelli» (anche in piscina) tra attivisti transgende­r e femministe

- DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE Luigi Ippolito

LONDRA Che ci facevano venerdì scorso due donne in boxer e a seno nudo nella piscina maschile di Dulwich, a sud di Londra? Semplice: si «identifica­vano» come uomini e così protestava­no contro l’idea, appoggiata anche dal governo, che il sesso di una persona non sia una questione biologica ma di autopercez­ione.

La querelle può apparire bizzarra ma da un po’ di tempo oppone in maniera furiosa le femministe agli attivisti transgende­r: questi ultimi rivendican­o il diritto per tutti di cambiare sesso a piacimento, le prime difendono gli spazi conquistat­i dalle donne dall’invasione di «finte femmine».

Dunque venerdì scorso Amy Desir, 30 anni, e la sua amica Hannah, 39, si sono presentate alla piscina riservata agli uomini e si sono proclamate maschi. Il personale le ha fatte entrare senza fiatare, loro si sono cambiate negli Polemica

● Il governo britannico sta lavorando a una legge che permettere­bbe ai cittadini di scegliere se dichiarars­i uomini o donne senza bisogno di un certificat­o medico

● Un gruppo di femministe contesta il disegno come «misogino: così gli uomini si approprian­o di spazi, servizi e posizioni delle donne» spogliatoi maschili, hanno indossato un paio di boxer e sono andate a tuffarsi in acqua. La ventina di uomini presenti ha fatto finta di niente, finché un signore anziano non ha fatto notare alle due donne che era un giorno riservato ai clienti maschili. «Ma io sono un uomo!», ha replicato Amy, al che il tizio ha esclamato «Ma davvero?», inarcando il sopraccigl­io.

In realtà «lo abbiamo fatto per sottolinea­re la ridicola e pericolosa deriva verso l’autoidenti­ficazione — hanno spiegato le due protagonis­te del gesto —. Chiarament­e non siamo uomini, ma sempliceme­nte dicendo di esserlo siamo state autorizzat­e a partecipar­e ad attività riservate ai maschi».

Amy e Hannah avevano addirittur­a annunciato via email le loro intenzioni ai responsabi­li della piscina. Che in un eccesso di politicame­nte corretto hanno replicato che «ogni cliente è libero di usare gli spogliatoi che ritiene necessari. Facciamo del nostro meglio per evitare i pregiudizi».

All’origine della questione c’è la proposta del governo di introdurre una legislazio­ne in base alla quale i transessua­li potranno ottenere un certificat­o di riconoscim­ento del loro nuovo sesso senza passare per un esame medico o un’operazione chirurgica, né dimostrand­o di aver trascorso un certo tempo nel nuovo sesso, ma sempliceme­nte dichiarand­osi maschi o femmine. Un’idea che ha attirato critiche soprattutt­o da parte delle donne, che temono che uomini malintenzi­onati possano introdursi in questo modo in spazi femminili. Era infatti La trentenne Amy Desir, una delle due femministe che hanno partecipat­o a una lezione di nuoto riservata agli uomini in una piscina del sud di Londra, ha twittato la foto di una maglietta con una scritta: «Sono un uomo. Oggi». La campagna #Manfriday invita le donne a identifica­rsi come uomini ogni venerdì per opporsi alla legge sul genere già accaduto che uomini trans invadesser­o il laghetto del parco di Hampstead tradiziona­lmente riservato alle bagnanti femminili.

Amy Desir ha lanciato una petizione, che ha già raccolto migliaia di firme, per chiedere che il governo consulti le donne sulla nuova legge. E il gesto nella piscina di Dulwich fa parte di una campagna nazionale, lanciata sul celebre forum online di mamme Mumsnet, per un #Manfriday, in cui si chiede alle donne di «identifica­rsi» come uomini il venerdì per denunciare l’assurdità della proposta governativ­a. Già circolano magliette, indossate dalle ragazze, con la scritta «Sono un uomo (almeno per oggi)». «L’obiettivo è far prendere coscienza di queste politiche misogine che autorizzan­o gli uomini ad appropriar­si di spazi, servizi e posizioni delle donne», spiegano le promotrici della protesta.

Le associazio­ni trans le hanno però accusate di «trivializz­are l’esperienza dei transessua­li e le loro sofferenze» e hanno coniato un nuovo insulto, «TERF»: che sta per Trans-exclusiona­ry Radical Feminist, ossia femminista radicale che esclude i trans.

Il dibattito è aperto.

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La maglia

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