Il Paese che non riesce a onorare i suoi martiri
Le terribili parole apparse ieri mattina sulle mura della facoltà di Economia dove insegnava Marco Biagi hanno il drammatico potere di rendere evidente quanto, a distanza di sedici anni dall’omicidio da parte delle Br del giuslavorista, circolino per il nostro Paese criminali pronti a usare la violenza pur di affermare presunte idee. Non si tratta qui di difendere la memoria di una persona che ha contribuito attraverso le regole alla crescita economica e culturale del nostro Paese. Sarebbe fare un torto al suo doloroso ricordo cogliere l’occasione di quelle parole insultanti per rievocare i tanti suoi meriti nel fare in modo che le energie migliori dell’italia potessero contribuire alla modernizzazione, che il mondo del lavoro fosse
Comunità e valori Non abbiamo reso episodi così laceranti elementi fondanti per la comunità
più aperto e garantito. Semmai questa deve essere l’occasione per comprendere quanto poco si sia fatto in questi anni per costruire attorno al ricordo di tanti martiri della stagione degli anni di piombo un argine ai fomentatori di odio e violenza. Di riflettere sull’incapacità di rendere episodi così laceranti della storia italiana elementi fondanti di una comunità che si rafforza. Che sui social ci sia stato chi ha colto l’occasione di quelle scritte infamanti per mettere in discussione le idee di Biagi, la dice lunga su quanto sia debole il senso di appartenenza alla comunità nel nostro Paese. Una comunità si costruisce su valori condivisi tra i quali non è nemmeno pensabile che ci sia il fatto che il disaccordo si possa trasformare in crimine. In omicidio. In oltraggio nel giorno che doveva essere quello del ricordo. Leggere su quelle pareti nell’anniversario della sua uccisione mentre, come ogni giorno, tornava a casa in bicicletta: «Biagi non pedala più», non è solo un insulto insopportabile al suo sacrificio. È la testimonianza di un Paese che non riesce ad onorare mai abbastanza i suoi martiri.