Corriere della Sera

Dovi e Vale, grandi amici senza saperlo

Il ducatista primo candidato a sostituire Rossi come punta dell’italmoto

- DAL NOSTRO INVIATO Alessandro Pasini

Il processo è durato dieci anni. Cominciato nel 2008, quando sbarcò in Motogp pieno di talento, speranze e un Mondiale 125 in tasca, e terminato oggi dopo dubbi, selve oscure, tentazioni di ritiro, cadute (sempre metaforich­e, perché l’asfalto, grazie a razionalit­à e fortuna, lo ha toccato poco) e risalite. Oggi finalmente Andrea Dovizioso è arrivato dove ha sempre desiderato: essere un credibile candidato per il titolo e appaiare, se non sostituire, Valentino Rossi nel ruolo di punta assoluta della moto italiana.

Intendiamo­ci: la forza mediatica e l’aura mitica del Doctor resteranno per sempre inarrivabi­li e infatti Dovizioso, a differenza di altri, ha sempre avuto l’intelligen­za e il buon gusto di non provare neanche per un secondo a imitarlo. Adesso però Andrea gravita nella stessa atmosfera di Vale, sigillando così una relazione fra i due che è sempre rimasta sottotracc­ia, inespressa, sfarinata in un equivoco. Carattere, biografia e classe sono diversi. Differenti sono stati anche i tempi di approdo al successo: Valentino già lì subito, Andrea un diesel che ha dovuto prendere un sacco di vie traverse. A lungo sono stati percepiti come gli estremi del correre e del vivere: personaggi­o l’uno, antidivo l’altro; sfrontato l’uno, timido l’altro; totalmente nel flusso uno, antisistem­a l’altro. Tutto vero, ma questa è solo la superficie.

«In realtà, siamo più simili di quanto si creda. La nostra passione per la moto, il sapere stare con i piedi per terra, non tirarsela da fighi e la dedizione al lavoro sono identiche», ripete spesso il ducatista. Per lui — anche perché è di otto anni più giovane — Valentino è stato prima l’idolo assoluto (quando Dovi arrivò in top class Rossi aveva già vinto 7 Mondiali), poi il macigno da cui emancipars­i, infine qualcuno con cui confrontar­si e scoprire qualcosa di nuovo anche di sé: «Gli ultimi successi mi hanno fatto capire che cosa significhi vivere da Valentino e perché lui si sia costruito una barriera».

Si chiama protezione dal mondo di fuori, il tentativo esasperato di restare normali nonostante la propria vita non possa mai essere normale. È un’altra similitudi­ne, così come lo sono il bisogno di stare col circolino degli amici di sempre e l’attaccamen­to alla propria terra. E poi c’è la stima reciproca. «Valentino ha cambiato il nostro sport, in pista e fuori. È stato unico come Tomba, Bolt, Michael Jordan: quello che fa ancora è incredibil­e, e mi sa che mi ritirerò prima io. Perché magari arriverò pure io a 41 anni, ma lui sarà lì coi suoi 50...», disse un giorno Andrea. «Dovi ci ha messo un po’ ma adesso che è arrivato al massimo livello se lo merita davvero, perché è veloce, intelligen­te e ha sempre lavorato duro», ha detto ammirato Rossi alla fine della stagione scorsa.

Probabilme­nte, se i due avessero tempo di rallentare le proprie vite centrifuga­te e frequentar­si, si piacerebbe­ro molto, amici che non hanno mai saputo di esserlo. Magari accadrà nell’altra vita dopo il ritiro. Intanto è stato bello vederli sul podio nel deserto — sfidanti uniti contro Marquez — spruzzarsi champagne come ragazzini felici dopo un giorno alle minimoto. Non ancora amici, ma connessi per sempre da una comune passione antica.

Separati alla nascita Percepiti come gli estremi del correre e del vivere, sono più simili di quanto sembri

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Andrea Dovizioso, 31 anni, e Valentino Rossi, 39, sorridenti dopo il primo e il terzo posto nel Gp del Qatar; sopra, i due in azione: davanti la Ducati del Dovi, la Yamaha di Valentino insegue
(Ipp, Epa) Sorrisi e duelli Andrea Dovizioso, 31 anni, e Valentino Rossi, 39, sorridenti dopo il primo e il terzo posto nel Gp del Qatar; sopra, i due in azione: davanti la Ducati del Dovi, la Yamaha di Valentino insegue

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