Fondi dalla Libia: fermato Sarkozy
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è in stato di fermo a Nanterre: si indaga sui presunti finanziamenti milionari di Gheddafi alla sua campagna elettorale.
C i sono due letture delle accuse contro Nicolas Sarkozy. Una è politico/giudiziaria, l’altra politico/ morale. La prima ci conduce nei meandri oscuri di finanziamenti illeciti di campagne elettorali e partiti, facendo leva su affari, retrocommissioni e amicizie interessate con dittatori stranieri. In questo ambito, Sarkozy non sarebbe il primo ex presidente o primo ministro chiamato a rendere conto del proprio operato. La recente storia politica francese, intrecciata a commesse di Stato e tradizionali influenze in terre africane, è ricca di esempi, dai tempi di Mitterrand e Chirac.
Sarkozy ha agito con più disinvoltura : gli scandali hanno segnato la sua presidenza, le sue campagne e le recenti velleità di rivincita. Basti ricordare i presunti favori dall’ereditiera de L’oreal, madame Bettencourt — con la poco edificante accusa, poi caduta, di circonvenzione d’incapace —, il maneggio di mazzette del suo ministro degli interni e segretario generale, Claude Guéant, potente prefetto entrato nelle stanze segrete dell’eliseo; l’inchiesta sui rimborsi elettorali e i bilanci del partito.
La lettura politico/morale, in un certo senso, è più grave, anche se non del tutto dimostrabile, come del resto i retroscena vergognosi all’origine di tanti conflitti. Occorre fare un passo indietro, al tempo in cui Gheddafi era stato ricevuto con tutti gli onori all’eliseo e in cui la Francia tendeva a stabilizzare regimi amici minacciati dalle primavere arabe. La svolta fu traumatica e repentina e proprio Sarkozy ne fu il principale artefice, agitando fra l’altro una bandiera della Francia intellettuale, Bernard-henri Lévy, impegnato sul campo a sostenere l’opposizione libica e la necessità dell’intervento militare.
È vero che il quadro internazionale di una decisione assunta dalla Nato fu rispettato e che l’opinione pubblica europea era piuttosto favorevole alla fine dei regimi e sedotta dalle speranze di democrazia nel mondo arabo, ma è anche vero che Sarkozy spinse sull’acceleratore e fece decollare i suoi bombardieri, trascinando nell’avventura anche un altro amico di Gheddafi, il recalcitrante Berlusconi. Non solo, la Francia di Sarkozy fu in prima linea anche nella caccia fisica al dittatore, fino alla sua brutale eliminazione.
Su queste scelte, pesano
La caccia al colonnello Parigi fu in prima linea nella caccia fisica al dittatore fino alla sua brutale eliminazione
molti sospetti e illazioni, decisamente più inquietanti delle mazzette elettorali. Si è ipotizzato che togliendo di mezzo Gheddafi, la Francia ambisse a mettere piedi e mani in un’area d’interessi energetici tradizionalmente vicina all’italia. Si è detto che Gheddafi rappresentasse una seria minaccia per gli interessi francesi nell’area sub sahariana, secondo presunti piani di espansione geopolitica e monetaria. Ma si è soprattutto ipotizzato che Gheddafi fosse depositario di tanti segreti, in relazione a finanziamenti, affari e favori in terra francese, dove i suoi figli alloggiavano nei migliori alberghi e i suoi emissari avevano accesso ai salotti buoni della politica e della finanza.
Si sa come è finita. La Libia destabilizzata ha aperto le porte al terrorismo, ha contribuito al disordine sociale e politico in tutto il nord Africa, è diventata il crocevia malavitoso dell’immigrazione clandestina e un ginepraio di clan che allontanano soluzioni politiche.
Forse Sarkozy non poteva prevedere tutto, ma comunque lo si giudichi o sarà giudicato, il disastro libico è la più grave macchia sulla sua biografia. La sua parabola di statista ambizioso si conclude con i risultati deludenti della sua presidenza e con accuse inquietanti o imbarazzanti, a seconda dei punti di vista. Negli ultimi mesi, era un «onnipresente» senza più incarichi istituzionali: conferenze, consigli, dibattiti, viaggi che accarezzano il conto in banca e allontanano la pensione. Un «ex» brillante e competente. Da domani, forse, soltanto un «ex», tradito dai soldi e dall’ambizione. Per la storia di Francia e per la destra francese, anche un talento sprecato.