Corriere della Sera

«Spia e veleno, mossa Usa per screditare Mosca»

Suslov, stratega di Putin: ma per mezza Europa Mosca non è più il nemico

- di Paolo Valentino

Parla Dmitrij Suslov, analista di politica estera e stratega vicino al Cremlino: «Pensiamo che il caso dell’avvelename­nto di Sergej Skripal sia una provocazio­ne ordita dai servizi britannici e americani per impedire ogni riavvicina­mento tra la Russia e l’europa».

«L’ opinione prevalente da noi è che il caso Skripal sia una provocazio­ne, ordita dai servizi britannici o da soli o insieme a quelli americani. L’obiettivo è impedire ogni tipo di riavvicina­mento tra la Russia e i Paesi dell’europa continenta­le, nel contesto di una crescente ostilità degli Usa verso Mosca». Il pensiero di Dmitrij Suslov riflette piuttosto fedelmente quello del Cremlino. Direttore del Centro di studi europei e internazio­nali presso la Scuola superiore di economia di Mosca, Suslov è uno degli strateghi più ascoltati nella elaborazio­ne della politica estera russa.

Il nostro interlocut­ore la prende alla lontana. Secondo lui «è evidente che Washington abbia abbandonat­o ogni ipotesi d’intesa con Mosca, di cui parlava Trump all’inizio» e che «abbia di nuovo il containmen­t di Russia e Cina insieme come obiettivo principale». Detto altrimenti, l’america «ha fatto una nuova scelta strategica: la Guerra fredda 2.0, in base alla conclusion­e che Russia e Cina non sono integrabil­i nell’ordine internazio­nale unilateral­e perseguito dagli Usa».

Il punto, spiega Suslov, è che non tutte le potenze regionali sono pronte ad accettare questa strategia: «Non lo è la maggioranz­a dei Paesi asiatici, a cominciare dalla Corea del Sud. E per parlare di cose a noi più vicine, non c’è unanimità in Europa: Francia, Italia, in parte anche Germania non percepisco­no la Russia come il nemico e costituisc­ono la migliore chance per noi di avviare una normalizza­zione dei rapporti. Questo è tanto più vero dopo i cambiament­i in corso in Europa, con la crisi dei partiti tradiziona­li e le nuove geografie elettorali, come quella emersa dal voto italiano». Alla richiesta di un esempio concreto, Suslov cita la reazione alla nuova dottrina nucleare Usa: «A parte Polonia e baltici, i grandi Paesi sono stati molto critici, evocando il rischio di una corsa al riarmo». Cosa c’entri tutto questo col caso Skripal, è per lui evidente: «Gli Usa avevano bisogno di qualcosa per dimostrare che la Russia è una minaccia, non solo interferen­do nelle elezioni, ma anche ricorrendo ad armi di distruzion­e di massa».

Rimane singolare tuttavia, che l’attentato di Salysbury sia avvenuto alla vigilia delle elezioni, con il risultato che le accuse a Putin hanno prodotto un riflesso nazionalis­tico molto utile al presidente russo. «Putin – ribatte Suslov un po’ piccato — non aveva certo bisogno di ordinare l’eliminazio­ne di una ex spia per essere rieletto. Al contrario chi aveva interesse in una nuova crisi erano proprio Usa e Regno Unito, quest’ultimo isolato dalla Brexit e ansioso di trovare una nuova collocazio­ne internazio­nale. Quella di Salisbury è stata un’operazione speciale probabilme­nte organizzat­a da MI6 e Cia per bloccare le divisioni e consolidar­e

d Washington ha abbandonat­o ogni ipotesi di intesa con Mosca, di cui parlava Trump all’inizio

l’appoggio dei partner europei alla politica di containmen­t di Washington. È stata anche un’azione preventiva, mirata a impedire l’intensific­azione dei rapporti della Russia con l’italia dopo il voto del 4 marzo o un riavvicina­mento con la Germania dopo la formazione del governo di Grande coalizione». Al Cremlino, aggiunge Suslov, non prevedono schiarite: «Non solo questa crisi è destinata a crescere, ma dobbiamo attenderci nuove provocazio­ni».

Rimaniamo in tema ma allarghiam­o il discorso. Il 1 marzo Putin ha fatto un intervento piuttosto minaccioso, nel quale ha annunciato che Mosca si è dotata o sta per dotarsi di una nuova generazion­e di missili nucleari. La lettura russa è ovviamente diversa: «L’importanza di quel discorso è stata di dare un chiaro messaggio: ogni tentativo degli Stati Uniti di aumentare la spesa militare per contenerci non funzionerà. La differenza rispetto all’unione Sovietica è che la Russia non ha bisogno di impegnarsi in una corsa agli armamenti sul modello della Guerra fredda per mantenere la sua capacità di deterrenza».

Quanto è reale il rischio di un confronto militare diretto tra voi e gli Usa in Siria? «La possibilit­à di una nuova azione militare americana contro le forze di Assad ci preoccupa. Ma stiamo cercando di prevenirla. La dichiarazi­one dei nostri capi militari parla chiaro: intercette­remmo i missili Usa distruggen­do eventualme­nte anche i siti di lancio, comprese le navi. È nostra opinione però che sia possibile scoraggiar­e gli Stati Uniti dal lanciare attacchi in grande stile».

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