«Spia e veleno, mossa Usa per screditare Mosca»
Suslov, stratega di Putin: ma per mezza Europa Mosca non è più il nemico
Parla Dmitrij Suslov, analista di politica estera e stratega vicino al Cremlino: «Pensiamo che il caso dell’avvelenamento di Sergej Skripal sia una provocazione ordita dai servizi britannici e americani per impedire ogni riavvicinamento tra la Russia e l’europa».
«L’ opinione prevalente da noi è che il caso Skripal sia una provocazione, ordita dai servizi britannici o da soli o insieme a quelli americani. L’obiettivo è impedire ogni tipo di riavvicinamento tra la Russia e i Paesi dell’europa continentale, nel contesto di una crescente ostilità degli Usa verso Mosca». Il pensiero di Dmitrij Suslov riflette piuttosto fedelmente quello del Cremlino. Direttore del Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola superiore di economia di Mosca, Suslov è uno degli strateghi più ascoltati nella elaborazione della politica estera russa.
Il nostro interlocutore la prende alla lontana. Secondo lui «è evidente che Washington abbia abbandonato ogni ipotesi d’intesa con Mosca, di cui parlava Trump all’inizio» e che «abbia di nuovo il containment di Russia e Cina insieme come obiettivo principale». Detto altrimenti, l’america «ha fatto una nuova scelta strategica: la Guerra fredda 2.0, in base alla conclusione che Russia e Cina non sono integrabili nell’ordine internazionale unilaterale perseguito dagli Usa».
Il punto, spiega Suslov, è che non tutte le potenze regionali sono pronte ad accettare questa strategia: «Non lo è la maggioranza dei Paesi asiatici, a cominciare dalla Corea del Sud. E per parlare di cose a noi più vicine, non c’è unanimità in Europa: Francia, Italia, in parte anche Germania non percepiscono la Russia come il nemico e costituiscono la migliore chance per noi di avviare una normalizzazione dei rapporti. Questo è tanto più vero dopo i cambiamenti in corso in Europa, con la crisi dei partiti tradizionali e le nuove geografie elettorali, come quella emersa dal voto italiano». Alla richiesta di un esempio concreto, Suslov cita la reazione alla nuova dottrina nucleare Usa: «A parte Polonia e baltici, i grandi Paesi sono stati molto critici, evocando il rischio di una corsa al riarmo». Cosa c’entri tutto questo col caso Skripal, è per lui evidente: «Gli Usa avevano bisogno di qualcosa per dimostrare che la Russia è una minaccia, non solo interferendo nelle elezioni, ma anche ricorrendo ad armi di distruzione di massa».
Rimane singolare tuttavia, che l’attentato di Salysbury sia avvenuto alla vigilia delle elezioni, con il risultato che le accuse a Putin hanno prodotto un riflesso nazionalistico molto utile al presidente russo. «Putin – ribatte Suslov un po’ piccato — non aveva certo bisogno di ordinare l’eliminazione di una ex spia per essere rieletto. Al contrario chi aveva interesse in una nuova crisi erano proprio Usa e Regno Unito, quest’ultimo isolato dalla Brexit e ansioso di trovare una nuova collocazione internazionale. Quella di Salisbury è stata un’operazione speciale probabilmente organizzata da MI6 e Cia per bloccare le divisioni e consolidare
d Washington ha abbandonato ogni ipotesi di intesa con Mosca, di cui parlava Trump all’inizio
l’appoggio dei partner europei alla politica di containment di Washington. È stata anche un’azione preventiva, mirata a impedire l’intensificazione dei rapporti della Russia con l’italia dopo il voto del 4 marzo o un riavvicinamento con la Germania dopo la formazione del governo di Grande coalizione». Al Cremlino, aggiunge Suslov, non prevedono schiarite: «Non solo questa crisi è destinata a crescere, ma dobbiamo attenderci nuove provocazioni».
Rimaniamo in tema ma allarghiamo il discorso. Il 1 marzo Putin ha fatto un intervento piuttosto minaccioso, nel quale ha annunciato che Mosca si è dotata o sta per dotarsi di una nuova generazione di missili nucleari. La lettura russa è ovviamente diversa: «L’importanza di quel discorso è stata di dare un chiaro messaggio: ogni tentativo degli Stati Uniti di aumentare la spesa militare per contenerci non funzionerà. La differenza rispetto all’unione Sovietica è che la Russia non ha bisogno di impegnarsi in una corsa agli armamenti sul modello della Guerra fredda per mantenere la sua capacità di deterrenza».
Quanto è reale il rischio di un confronto militare diretto tra voi e gli Usa in Siria? «La possibilità di una nuova azione militare americana contro le forze di Assad ci preoccupa. Ma stiamo cercando di prevenirla. La dichiarazione dei nostri capi militari parla chiaro: intercetteremmo i missili Usa distruggendo eventualmente anche i siti di lancio, comprese le navi. È nostra opinione però che sia possibile scoraggiare gli Stati Uniti dal lanciare attacchi in grande stile».