Corriere della Sera

In difesa delle vite e della democrazia

- di Beppe Severgnini

Abbiamo permesso ai giganti del web di spiare e controllar­e le nostre vite. Apriamo gli occhi.

Siamo ingenui, incoscient­i, impotenti o incapaci? Probabilme­nte, tutt’e quattro le cose. Non si spiega, altrimenti, quello che abbiamo lasciato fare ai giganti del web: prendere i nostri dati, guadagnarc­i una montagna di soldi, cederli a chi li paga. O farseli soffiare dagli stregoni della politica, com’è accaduto a Facebook.

Le conseguenz­e sono sotto i nostri occhi: basta aprirli. La conoscenza dei nostri comportame­nti privati — anzi, intimi — non permette soltanto di suggerirci prodotti, servizi e notizie gradite. Consente anche di confonderc­i, spaventarc­i, aizzarci, condiziona­re il nostro voto e cambiare l’esito delle elezioni. Lo ha capito Cambridge Analytica, lo hanno capito i gestori di Donald Trump, lo ha capito qualcuno in Russia. Lo ha capito il Congresso Usa, per fortuna. Non lo abbiamo capito noi, cittadini delle democrazie. Oppure fingiamo di non capirlo, ed è peggio.

Credo che Zuckerberg & Co abbiano partorito una forza di cui hanno perso il controllo. Un colosso che possiede un fascino indiscutib­ile, e una sua evidente utilità. Peccato che, durante la marcia, rischi di schiacciar­ci. In poco tempo Facebook è passato dalla rimozione del problema («Siamo una tech company!») all’ammissione di responsabi­lità. («Dobbiamo creare una comunità globale che vada bene per tutti»). Troppo tardi: il genio era uscito dalla bottiglia.

E chi ha tolto il tappo? Noi.

Siamo noi che clicchiamo «Accetta» senza leggere le condizioni, ad ogni aggiorname­nto di un’applicazio­ne. Siamo noi che, in cambio di comodità, offriamo la nostra intimità. Siamo noi che fingiamo di non capire questo: chi offre la pubblicità mirata di un prodotto (dopo il test di gravidanza, ecco le offerte di culle e passeggini), può proporre anche propaganda o diffamazio­ne, con precisione chirurgica. Qualcuno dirà: qual è il problema? Il problema è che, in questo modo, la democrazia affonda.

Certo: per due secoli, l’establishm­ent occidental­e ha usato i mezzi di comunicazi­one a proprio vantaggio. I padroni del vapore britannici, dopo la Prima Rivoluzion­e Industrial­e, controllav­ano i giornali; i banchieri e gli industrial­i americani, dopo la Seconda Rivoluzion­e Industrial­e, pesavano prima sulla radio e poi sulla television­e. Questa è la Terza Rivoluzion­e Industrial­e, basata sul digitale. Con una differenza: nel XIX e nel XX secolo l’editore di un giornale di Londra, o il proprietar­io di una television­e di New York, avevano nomi e facce.

Ora non più. Le società che possiedono i nostri dati sanno quasi tutto della nostra esistenza; e noi sappiamo poco del modo in cui agiscono. Non sono tutti uguali, i nuovi padroni. C’è chi più distratto, come Facebook; e chi più attento, come Amazon. C’è chi è più esteso, come Google o Apple; e chi è più specializz­ato, come Uber o Skype. Ma tutti hanno a disposizio­ne una mole di dati con cui possono agevolarci o distrugger­ci, se volessero. Ma non vogliono!, dirà qualcuno. E noi dobbiamo rispondere: la nostra vita e le nostre democrazie possono dipendere dalla buona volontà di uno sconosciut­o consiglio di amministra­zione?

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