Corriere della Sera

L’orgoglio di Casaleggio sul costo dei voti M5S e l’enigma dei post che spingono i consensi

- di Federico Fubini

La prima domanda, naturalmen­te, riguarda l’origine di quei numeri così intriganti. Ieri Davide Casaleggio, erede del padre Gianrobert­o nell’omonima società di consulenza e nella piattaform­a Rousseau, il cuore digitale dei 5 Stelle, è intervenut­o sul Washington Post. La sua è un’arringa a favore della democrazia a partecipaz­ione diretta permessa dalla Rete, al posto della democrazia rappresent­ativa che era normale in Occidente fino ad ora. Solo la prima Casaleggio, sostiene, sarebbe «vera democrazia»: i partiti del vecchio ordine liberale, quello dove gli elettori votano e poi gli eletti li rappresent­ano, sono «moribondi».

La parte più interessan­te dell’intervento di Casaleggio riguarda però le cifre dietro la tesi. Al Movimento 5 Stelle ogni voto, spiega, è costato 8 centesimi di euro raccolti grazie a un sistema di micro-donazioni. Al contrario, la scala sarebbe invertita per le vecchie forze. Sul Washington Post Casaleggio scrive: «Ai partiti tradiziona­li, secondo il gruppo politico +Europa, ogni singolo voto è costato quasi cento volte di più, circa 8,50 dollari (8,1 euro, ndr)». È vero che la traduzione italiana dell’articolo sul blog di M5S è un po’ diversa anche nel significat­o: «Fa specie pensare che ai partiti tradiziona­li ogni singolo voto è costato fino a cento volte di più (+Europa ha un costo stimato di 7 euro a voto)».

Ma insomma, su quali oneri per voto bisogna fare i conti? Da alcune verifiche, emerge almeno una certezza: non esiste uno studio di +Europa sulle spese sostenute da tutti i partiti (come invece sembra di evincere dal testo di Casaleggio sul Washington Post). Quanto alla sola forza di Emma Bonino, a quanto pare in campagna elettorale ha speso poco più di 1,5 milioni di euro e ha ricevuto circa 900 mila voti. Il costo per voto è dunque di circa 1,7 euro, non sette o otto, applicando le stime di Casaleggio.

Conta di più però capire come abbia potuto M5S spendere tanto di meno. Tramite Visverbi, l’ufficio stampa della Casaleggio Associati, il Corriere ha chiesto se il bilancio di M5S includa anche le inserzioni su Facebook, Instagram o altre piattaform­e digitali. La risposta è stata negativa: «Abbiamo una forza tale sui social network che basta la portata organica dei post sulle nostre pagine — si spiega —. Siamo l’unica forza a non aver speso soldi per la pubblicità in Rete a livello nazionale». Di certo però nel mercato dei beni di consumo molte imprese, anche in rapporti con la Casaleggio Associati, usano metodi di «profilazio­ne» e «targeting» dei clienti, per definirne le caratteris­tiche e lanciare messaggi mirati a gruppi specifici. Il Corriere ha dunque fatto chiedere a Casaleggio se questo sia un legittimo strumento anche per il sostegno elettorale. Qui non c’è stata risposta. Il Corriere allora ha fatto chiedere a Casaleggio se in una campagna elettorale sia possibile utilizzare banche dati di origine commercial­e relative a profili personali e se la sua azienda, o M5S, lo avessero fatto. Di nuovo, nessuna risposta.

Il costo ridotto della campagna elettorale dei Cinque Stelle, tutta giocata in Rete, si capisce però meglio quando si guardano alcuni post di Facebook legati al Movimento. Per esempio quelli sul profilo «W il M5S», pagina informale dei pentastell­ati che nell’ultimo sta superando per contatti i siti dei grandi quotidiani. Forse perché la pagina non è ufficiale, è un po’ più audace. Il primo dicembre per esempio compare un video dal titolo «Sabrina Ferilli massacra Renzi e il Pd», un post dal destino bipolare: un solo commento e appena 12 mi piace, come non interessas­se poi molto agli utilizzato­ri in carne ed ossa; eppure quello stesso post è stato condiviso 4.329 volte, sospinto come da una forza virale inarrestab­ile che deve averlo portato davanti gli occhi di circa mezzo milione di elettori. Oppure il post del 9 gennaio, quello che insulta Equitalia e i «cinesi evasori»: in modo anomalo per come funziona il traffico su Facebook, le condivisio­ni sfiorano quota 20 mila benché i «mi piace» siano appena 1.355. Non è chiaro come sia stato possibile, se le scelte di condivider­e quel testo sono state di umani e non di software. Ma quell’insulto targato M5S sarà arrivato così, a basso costo e sospinto da chissà che forza, almeno a due milioni di elettori.

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Sul «Washington Post» L’intervento di Davide Casaleggio pubblicato sul quotidiano Usa

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