Corriere della Sera

Il leader di FI ottimista: Matteo non può fare il rimorchio dei 5 Stelle

Ai suoi spiega: non gli conviene essere socio di minoranza Resta l’ipotesi di Romani, ma ci sono Bernini e Gasparri

- Paola Di Caro

ROMA È tornato fiducioso, e soprattutt­o sulla scena. Oggi Silvio Berlusconi arriverà a Roma e attorno a mezzogiorn­o si vedrà con gli alleati Salvini e Meloni per cercare di chiudere la complicati­ssima partita delle presidenze delle Camere. Con la fondata speranza di poter portare a casa un ottimo risultato per Forza Italia, che sembrava insperato: l’elezione di un suo rappresent­ante, con ogni probabilit­à al Senato.

La trattativa è ancora aperta e tutto può ancora succedere, ma le frequenti telefonate con gli alleati, ieri con il leader della Lega, e gli incessanti contatti con i suoi lo hanno convinto che c’è spazio per rendere il suo partito ancora protagonis­ta e non vederlo emarginato in quello che finora è sembrato un mero rapporto a due tra Salvini e Di Maio.

«Di Matteo mi fido», ha confidato ai suoi interlocut­ori nelle ultime ore. E ha spiegato il perché: «Lui ricorda bene come mi comportai io quando la Lega era ridotta al 4% e noi avevamo una forza prepondera­nte rispetto a loro. Non è questione di riconoscen­za, ma di comprender­e che se si vuole essere leader bisogna essere inclusivi, non cercare di fare razzie a danno degli altri. In politica bisogna avere prospettiv­a, non andare a cercarsi le briciole oggi e perdersi la torta domani...».

C’è poi un’altra riflession­e che rende più ottimista Berlusconi: se — ragiona con i

suoi — Salvini facesse davvero un governo con il solo M5S umiliando e costringen­do alla rottura Forza Italia, ne diventereb­be «il socio di minoranza», andrebbe «solo a rimorchio di Di Maio», e politicame­nte sarebbe una mossa «perdente per il suo futuro».

Muovendosi assieme a FI invece «avrebbe la forza e il vero ruolo di leadership», quello che l’ex premier in questa fase gli affida in ogni passaggio della trattativa.

Oggi, dunque, si ragionerà partendo dai nomi per le presidenze ma con un occhio alle

intese complessiv­e. Raccontano che Berlusconi — con l’appoggio dell’intera FI per una volta unita — proporrà il nome di Paolo Romani, al quale ha già comunicato la scelta. Un nome autorevole, che nonostante quelli che sembrano veti da parte dei 5 Stelle po- trebbe raccoglier­e l’appoggio del Pd su uno schema alternativ­o a quello dell’intesa primaria con il M5S. Ma ai suoi Berlusconi ha detto che il suo partito ha anche altri nomi spendibili, primo fra tutti quello di Anna Maria Bernini, ma anche di Maurizio Gasparri. Insomma, non solo «perché noi al Senato abbiamo più numeri di loro», ma anche perché «abbiamo nomi importanti» è «doveroso» chiedere una presidenza. Senza doversi accontenta­re di nomi leghisti non doc come quello di Giulia Bongiorno.

Sembra che l’ipotesi di scegliere lei — ex finiana e candidata dal Carroccio come capolista a Roma — sia stata più giornalist­ica o comunque a livello di discussion­i fra gli sherpa che non realmente proposta da Salvini. In ogni caso in FI se ne è discusso: Ghedini era fra chi, pur preferendo «un nostro uomo», la considerav­a un nome possibile, perché sua buona amica, capace, adatta e non ostile a Berlusconi se è vero che poco tempo fa era stato organizzat­o un pranzo ad Arcore tra il leader, Letta, lei e lo stesso Ghedini. Ma Berlusconi, anche sconsiglia­to dai suoi, ha pronunciat­o alla fine un no secco: «Non se ne parla». Tornando sull’ipotesi numero uno: «Una Camera ci spetta, e alla fine converrà anche a Salvini tenere buoni rapporti con noi». Oggi appunto tutti i nodi arriverann­o sul tavolo dei leader, compresi gli accordi sia di governo sia in vista delle prossime amministra­tive. Sembra che la Lega si sia ammorbidit­a anche perché nella partita della presidenza a FI rientrereb­be anche quella della candidatur­a in Friuli-venezia Giulia del fedelissim­o di Salvini, Fedriga, nonostante finora si sia parlato di quel ruolo per l’azzurro Tondo. E poi c’è la partita del governo. Tutti dicono che i passaggi delle Camere e dell’esecutivo «sono slegati». Ma a crederci sono in pochi.

I numeri

Per il leader è doveroso chiedere la presidenza: al Senato abbiamo più numeri di loro

La «torta»

L’ex premier: in politica non si prendono oggi le briciole per perdere la torta domani

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