Il leader di FI ottimista: Matteo non può fare il rimorchio dei 5 Stelle
Ai suoi spiega: non gli conviene essere socio di minoranza Resta l’ipotesi di Romani, ma ci sono Bernini e Gasparri
ROMA È tornato fiducioso, e soprattutto sulla scena. Oggi Silvio Berlusconi arriverà a Roma e attorno a mezzogiorno si vedrà con gli alleati Salvini e Meloni per cercare di chiudere la complicatissima partita delle presidenze delle Camere. Con la fondata speranza di poter portare a casa un ottimo risultato per Forza Italia, che sembrava insperato: l’elezione di un suo rappresentante, con ogni probabilità al Senato.
La trattativa è ancora aperta e tutto può ancora succedere, ma le frequenti telefonate con gli alleati, ieri con il leader della Lega, e gli incessanti contatti con i suoi lo hanno convinto che c’è spazio per rendere il suo partito ancora protagonista e non vederlo emarginato in quello che finora è sembrato un mero rapporto a due tra Salvini e Di Maio.
«Di Matteo mi fido», ha confidato ai suoi interlocutori nelle ultime ore. E ha spiegato il perché: «Lui ricorda bene come mi comportai io quando la Lega era ridotta al 4% e noi avevamo una forza preponderante rispetto a loro. Non è questione di riconoscenza, ma di comprendere che se si vuole essere leader bisogna essere inclusivi, non cercare di fare razzie a danno degli altri. In politica bisogna avere prospettiva, non andare a cercarsi le briciole oggi e perdersi la torta domani...».
C’è poi un’altra riflessione che rende più ottimista Berlusconi: se — ragiona con i
suoi — Salvini facesse davvero un governo con il solo M5S umiliando e costringendo alla rottura Forza Italia, ne diventerebbe «il socio di minoranza», andrebbe «solo a rimorchio di Di Maio», e politicamente sarebbe una mossa «perdente per il suo futuro».
Muovendosi assieme a FI invece «avrebbe la forza e il vero ruolo di leadership», quello che l’ex premier in questa fase gli affida in ogni passaggio della trattativa.
Oggi, dunque, si ragionerà partendo dai nomi per le presidenze ma con un occhio alle
intese complessive. Raccontano che Berlusconi — con l’appoggio dell’intera FI per una volta unita — proporrà il nome di Paolo Romani, al quale ha già comunicato la scelta. Un nome autorevole, che nonostante quelli che sembrano veti da parte dei 5 Stelle po- trebbe raccogliere l’appoggio del Pd su uno schema alternativo a quello dell’intesa primaria con il M5S. Ma ai suoi Berlusconi ha detto che il suo partito ha anche altri nomi spendibili, primo fra tutti quello di Anna Maria Bernini, ma anche di Maurizio Gasparri. Insomma, non solo «perché noi al Senato abbiamo più numeri di loro», ma anche perché «abbiamo nomi importanti» è «doveroso» chiedere una presidenza. Senza doversi accontentare di nomi leghisti non doc come quello di Giulia Bongiorno.
Sembra che l’ipotesi di scegliere lei — ex finiana e candidata dal Carroccio come capolista a Roma — sia stata più giornalistica o comunque a livello di discussioni fra gli sherpa che non realmente proposta da Salvini. In ogni caso in FI se ne è discusso: Ghedini era fra chi, pur preferendo «un nostro uomo», la considerava un nome possibile, perché sua buona amica, capace, adatta e non ostile a Berlusconi se è vero che poco tempo fa era stato organizzato un pranzo ad Arcore tra il leader, Letta, lei e lo stesso Ghedini. Ma Berlusconi, anche sconsigliato dai suoi, ha pronunciato alla fine un no secco: «Non se ne parla». Tornando sull’ipotesi numero uno: «Una Camera ci spetta, e alla fine converrà anche a Salvini tenere buoni rapporti con noi». Oggi appunto tutti i nodi arriveranno sul tavolo dei leader, compresi gli accordi sia di governo sia in vista delle prossime amministrative. Sembra che la Lega si sia ammorbidita anche perché nella partita della presidenza a FI rientrerebbe anche quella della candidatura in Friuli-venezia Giulia del fedelissimo di Salvini, Fedriga, nonostante finora si sia parlato di quel ruolo per l’azzurro Tondo. E poi c’è la partita del governo. Tutti dicono che i passaggi delle Camere e dell’esecutivo «sono slegati». Ma a crederci sono in pochi.
I numeri
Per il leader è doveroso chiedere la presidenza: al Senato abbiamo più numeri di loro
La «torta»
L’ex premier: in politica non si prendono oggi le briciole per perdere la torta domani