Restare immobile La scelta del Pd (ancora diviso)
I renziani e l’idea di un’alternativa a Martina
Il Partito democratico ieri, dopo una riunione della segreteria, ha ribadito la linea dell’opposizione. Del resto, il Pd fatica a prendere in mano la situazione. E non solo perché ha subito una botta elettorale di notevoli proporzioni. C’è anche un altro fattore che gioca in questo senso: le divisioni, che sembravano sopite, in realtà restano tutte. Anzi, si sono acuite dopo il convegno al Nazareno di Martina, Orlando e Cuperlo in cui l’ex segretario è stato messo sul banco degli imputati.
Da allora i renziani non si fidano più tanto del reggente. Per questa ragione, all’assemblea nazionale prevista per il 21-22 aprile potrebbe esserci una novità. Un’area del partito potrebbe presentare un candidato alternativo a Maurizio Martina per la segreteria. Il nome più gettonato è quello di Matteo Richetti, che ha dalla sua il fatto di essere in ottimi rapporti anche con Graziano Delrio.
A tutto ciò si aggiungono i problemi relativi ai gruppi. Mentre a Montecitorio la candidatura di Lorenzo Guerini alla presidenza non incontra nessun problema, al Senato, invece, il renziano Andrea Marcucci viene giudicato troppo di parte per assumere la guida del gruppo. «Rischieremmo di andare alla conta», sospira un parlamentare dem. Conta che Marcucci potrebbe anche vincere ma che spaccherebbe ulteriormente il partito. Insomma, il Pd è immobile e non gioca nessuna delle due partite del momento: presidenze e governo. Preferisce restare a guardare.
Intanto gli altri giocano la loro partita. Salvini in questa fase ha un solo obiettivo: tenere unito il centrodestra. «Matteo non farà lo sbaglio di
Scongiurare il voto La volontà dei democratici e di Forza Italia è quella di evitare di tornare alle urne
Fini con Berlusconi», commenta un leghista. Già, per il capo del Carroccio, che aspira a diventare il leader di tutto lo schieramento e a conquistare altri elettori di Forza Italia, rompere con l’ex Cavaliere sarebbe esiziale perché scompaginerebbe i suoi piani. Perciò è anche disposto a cedere la presidenza del Senato a FI.
Per il resto il «patto» tra Salvini e Di Maio (che si sentono molto più spesso di quanto poi facciano sapere alla stampa) sembrerebbe reggere. Ma di qui a governare insieme ce ne corre. È sempre Giorgetti a spiegarlo: «Non vedo un governo solo Lega e 5 stelle». Anche perché il Carroccio, che non vuole rompere con Berlusconi, dovrebbe imbarcare in un esecutivo siffatto anche Forza Italia. Impresa ardua. I grillini difficilmente digerirebbero l’idea di governare con Berlusconi. Alla domanda diretta Carla Ruocco se la cava con un «no comment» per non dire altro.
Ma ieri a tarda sera circolava con insistenza un’altra ipotesi ancora: quella di un possibile accordo tra Pd e centrodestra per assegnare entrambe le Camere a questo schieramento e far nascere un governo di minoranza Le- ga-forza Italia. Il tam tam però non trovava nessuna conferma ufficiale.
Dunque, quello del governo resta un rebus. Tanto che sono ancora in molti a vedere il voto come possibile, benché non auspicata, soluzione. Lo ha chiaramente spiegato Salvini ai suoi: «O facciamo un governo che dura o si va di nuovo alle elezioni». Non è un caso dunque se Tajani e Franceschini, pur non essendosi parlati, in questi giorni facciano analoghi ragionamenti: «Lega e Cinque stelle eleggeranno i presidenti delle Camere, poi come primo provvedimento taglieranno i vitalizi e, quindi, andranno a votare».
Ed era proprio partendo da questa considerazione che Franceschini, in un’intervista al Corriere, aveva ipotizzato la nascita di un governo costituzionale: un modo per consentire al Pd di far nascere un esecutivo, anche non impegnandosi in prima persona, e scongiurare le urne. Ma le sue parole sembrano essere cadute nel vuoto e la situazione si è ancor di più ingarbugliata. Tanto che dentro il governo c’è chi profetizza: «Dopo Gentiloni ci sarà Gentiloni». E poi le elezioni.