Corriere della Sera

Prescrizio­ne per l’ex Br, resta in carcere solo otto mesi

Bertulazzi era stato condannato a 27 anni. Ideò il sequestro Costa che poi finanziò il rapimento Moro

- Erika Dellacasa

Argentina, così Leonardo Bertulazzi, nome di battaglia «Stefano», componente di spicco della colonna genovese delle Br, ha saldato il suo debito con la giustizia: era stato condannato in contumacia a 27 anni ma la pena, ha sentenziat­o la Corte di cassazione, è definitiva­mente prescritta. Bertulazzi nel novembre del 2002 era stato arrestato a Buenos Aires e rilasciato nel giugno 2003, l’argentina infatti non aveva concesso l’estradizio­ne. Il 12 giugno del 2017 la Corte di assise di Appello di Genova ha dichiarato la pena estinta per prescrizio­ne, ma la procura generale ha deciso di ricorrere in Cassazione, passaggio per il quale la legge prevede un termine di 15 giorni. Il pg di Genova, però, ha atteso la correzione di un numero errato sull’ordinanza (22 anni di reclusione anziché 27), avvenuta solo il 3 luglio, iniziando a calcolare i 15 giorni da quella data. La Cassazione, invece, ha accolto la tesi della difesa, secondo cui i 15 giorni andavano calcolati a partire dal 12 giugno, dichiarand­o inammissib­ile il ricorso.

La vicenda di Bertulazzi si intreccia con quella del sequestro Moro a causa del rapimento dell’ingegnere navale Pietro Costa, della famiglia di armatori genovesi, il 12 gennaio del 1977. Parte del riscatto versato dai Costa andò a finanziare il sequestro dello statista, 50 milioni di lire furono destinati — secondo le indagini — all’acquisto dell’appartamen­to di via Montalcini 8 dove Moro fu imprigiona­to per 55 giorni.

Il rapimento Costa a scopo «politico» e di autofinanz­iamento segnò una svolta nell’attività dei brigatisti. «Quello che mi ha segnato molto» ha detto molti anni dopo Pietro Costa sulla terribile esperienza «è stata soprattutt­o la violenza morale di quei giorni». L’imprendito­re venne tenuto incatenato in una tenda costanteme­nte con le cuffie che trasmettev­ano musica per impedirgli di cogliere i discorsi dei carcerieri e disorienta­rlo. Solo quando i giornali dettero la notizia della morte del padre di Pietro uno dei brigatisti, Riccardo Dura, spense la musica per un quarto d’ora. «Dura era quasi il solo che parlava con me — ha ricordato Pietro — eppure era il più violento».

Dura, dopo aver massacrato a sangue freddo il sindacalis­ta Guido Rossa, sarà ucciso durante il blitz dei carabinier­i nel covo di via Fracchia. Bertulazzi invece viene ferito in uno scontro a fuoco nel Ponente di Genova, a Vesima, mentre sta per compiere un attentato alla linea ferroviari­a ma riesce a fuggire. Si sottrae ancora una volta alla cattura quando gli investigat­ori scoprono il covo di via Lanata (i brigatisti progettava­no un attentato contro il sindaco socialista Fulvio Cerofolini). Inizia per «Stefano» una lunga fuga, prima in Europa, poi in Sudamerica.

Bertulazzi è stato condannato a 27 anni per una serie di reati (non l’omicidio) riferiti alla banda armata e al sequestro Costa di cui è ritenuto il responsabi­le «logistico» come elemento della colonna genovese cui si appoggiaro­no Faranda e Morucci. Condanna ora prescritta.

Famiglia di armatori L’ingegnere navale Pietro Costa subito dopo la liberazion­e a Genova: il sequestro durò 81 giorni

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(foto Reuters) In Argentina Leonardo Bertulazzi accompagna­to dall’interpol in tribunale a Buenos Aires nel 2002
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