La vita sotto assedio nelle terre dei boss Il coraggio di tre sorelle «Non ce ne andiamo»
Sicilia, recinti distrutti da mucche e denunce
MEZZOJUSO (PALERMO) Di certo c’è che qualcuno abbatteva le recinzioni dei terreni coltivati da tre sorelle entrate nel mirino della mafia. Vittime di incursioni con una mandria di «bovini inselvatichiti» lanciati a distruggere grano e frumento. Come succede con le vacche sacre che la ‘ndrangheta lascia pascolare in Calabria allo stato brado, sconvolgendo campi e piantagioni, invito a sloggiare. Operazione tentata a Mezzojuso, al confine con Corleone e Godrano, dove però Irene, Anna e Ina Napoli, tre sorelle di ferro, non mollano: «Non venderemo mai». È la sfida a sgherri che celati dai passamontagna tranciano, o meglio tranciavano, i reticolati per favorire incursioni e devastazione.
Almeno così sembra dalle tv di sorveglianza che hanno filmato pure un trattore verde dietro la mandria. Immagini riproposte domenica da Massimo Giletti su La7 per una puntata di Non è l’arena alla quale era stato invitato il neo assessore all’agricoltura Edy Bandiera perché fra i vicini a lungo sospettati dalle tre donne c’è pure la Regione con il suo Istituto zootecnico, proprietario di quel trattore.
L’interesse dei carabinieri, della Procura di Termini Imerese competente per territorio e del prefetto Antonella De Miro, che ha convocato e sostenuto le sorelle a Palermo, si concentra soprattutto su altri confinanti della proprietà con storie giudiziarie segnate dall’ombra di Provenzano. A cominciare da Simone e Giuseppe La Barbera, figlio e nipote di Nicola, il defunto «porta-pizzini» del numero uno di Cosa nostra quando da latitante scansò un blitz, dileguandosi fra campi in cui non sono tollerate presenze estranee. La vicenda
● Irene, Anna e Gioacchina Napoli gestiscono — assieme alla madre Gina La Barbera — un’azienda agricola di novanta ettari a Mezzojuso, in provincia di Palermo
● Il paesino è stato per molti anni feudo del boss di Cosa nostra Bernardo Provenzano e non è lontano da Bagheria e da Corleone
● Quando, nel gennaio 2006, il padre muore le quattro donne denunciano di essere diventate preda dei clan locali che vogliono acquistare per pochi soldi i terreni
I carabinieri
«Ci considerano un disonore della famiglia perché denunciamo tutto ai carabinieri»
● Le tre sorelle insieme alla madre rifiutano e da allora si ritrovano ad avere a che fare con minacce, campi distrutti, recinzioni e attrezzature danneggiate È il caso delle sorelle Napoli che hanno denunciato questi e altri personaggi ottenendo però davanti al giudice di pace di Corleone solo la beffa di una assoluzione per tutti. Come ricordano, infuriate con il loro avvocato: «Non si presentò all’udienza anche se ce lo aveva mandato Addiopizzo». Da Palermo getta acqua sul fuoco Daniele Marannano per l’organizzazione: «Facciamo il possibile, non ci sottraiamo e le sosteniamo con convinzione...».
Fatto sta che hanno cambiato avvocato. Alte e forti, a tratti appaiono invincibili, spesso indifese, i volti rigati dalle lacrime. Anche pensando al contesto: «Siamo il “disonore” della famiglia perché ci rivolgiamo ai carabinieri che consideriamo la nostra vera famiglia». E con il comandante provinciale Antonio Di Stasio vanno in prefettura dove l’attenzione è massima. Come in Procura. Rinnovando indagini che allarmano anche la Regione dove l’assessore Bandiera, «finora irreperibile per La7», dice caustico Giletti, sembra in attesa di una relazione chiesta al direttore dell’istituto, Antonio Console. Ieri al lavoro «per fare chiarezza», dice: «Il problema degli animali inselvatichiti colpisce anche noi. Li combattiamo con la Forestale per catturarli. I nostri 46 bovini invece hanno 250 ettari di terreno e mai sforano recinzioni ormai ben controllate». Spiegazioni che rimbalzeranno in prefettura dove la dottoressa De Miro ricorda che, se esistono mucche allo stato brado, la Regione deve farnese carico «trattandosi di terreni demaniali». Altra storia quella delle cesoie che nemmeno le «vacche sacre» sanno usare.