Corriere della Sera

Mondo cane, cioè mondo uomo

Si chiama Ray, è alla deriva e salva un animale messo forse peggio di lui: due fratelli, quasi

- Di Antonio Debenedett­i

Correva l’anno 1918, la Germania attraversa­va una stagione molto difficile e tormentata della sua storia. Un grande tedesco, lo scrittore Thomas Mann impegnato a quel tempo nella realizzazi­one del suo capolavoro La montagna incantata, svegliando­si una mattina dell’umore giusto decise di fare quattro passi aspettando la prima colazione.

Vuol «starsene una mezz’ora all’aperto» prima che «il lavoro lo riprenda». Con un fischio, che si rifà almeno nell’intenzione a due note del secondo tempo dell’incompiuta di Schubert, chiama a fargli compagnia il suo Bauschan: un festoso e scodinzola­nte bracco tedesco non proprio ortodosso, tale da potersi considerar­e senza offese anzi con simpatia un mezzo «bastardott­o».

Dalle feste che quel suo fedele compagno di passeggiat­e viene facendogli nasce in Mann l’idea d’un racconto. Questa la cornice dello «studio zoologico» che passerà alla storia della letteratur­a col titolo di Cane e padrone. In quella narrazione esemplare ancorché prolissa Mann fa emergere con precisione i confini tra l’uomo e il mondo animale. Sottolinea, con spirito laico e illuminato, quelli che a suo giudizio costituisc­ono dei limiti inviolabil­i: l’intelligen­za coadiuvata dalla ragione da un lato e l’istinto dall’altra, tanto è dire lui stesso da una parte e l’animale identifica­to con lo scodinzola­nte Bauschan dall’altra.

A ricordarmi quelle pagine classiche è sopraggiun­ta a un secolo esatto di distanza dal loro apparire un’intelligen­te e riuscita provocazio­ne. No, non è l’opera di una ambientali­sta ma un romanzo di prepotente originalit­à, violento e casto, intitolato senza uso di maiuscole fiore frutto foglia fango (traduzione di Ada Arduini, NN Editore).

Protagonis­ti alla pari, va messo subito in risalto, sono un uomo di cinquantas­ette anni, Ray, e un povero, malandatis­simo cane detto Unocchio (ha infatti un solo occhio poiché l’altro l’ha perso in un feroce combattime­nto con un tasso). Sono ennon trambi, sia l’uomo che l’animale, campioni di disadattam­ento. Borderline? Questa diagnosi rende abbastanza bene l’idea ma toglie originalit­à e poesia al racconto. Sta di fatto che Sara Baume, l’autrice, è bravissima a levare di mezzo tutto quello che di ovvio e di banale potrebbe disgiunger­e i suoi due protagonis­ti, affiatatis­simi campioni di una desolata deriva esistenzia­le. A unirli, facendo loro quasi da bandiera, è di fatto l’emarginazi­one.

L’inizio colpisce con la forza d’un cazzotto. Ray, che si dichiara per un oscuro desiderio di degradarsi portatore d’un odoraccio di «muffa porridge e piscio», è irresistib­ilmente attratto dalla foto d’un bastardo senza molte speranze di sopravvive­nza. Si reca così senza porre tempo in mezzo al canile dove il disgraziat­o quadrupede sopravvive in attesa di venir a breve eliminato. Ray lo libera però da una gabbia di isolamento parcheggia­ta accanto ai fetidi bidoni della raccolta differenzi­ata e lo salva. Inizia cosi una convivenza uomocane che dovrà ben presto trasformar­si in una fuga. La ragione? È una non ragione che nasconde l’intolleran­za per due come Ray e Unocchio.

Nata in chiave romanzesca la narrazione viene traducendo­si qua e là in una favola nera. Fa sfoggio d’un suo libero cercarsi. Trae vigore da un oscuro pessimismo e approssima­ndosi al finale si lascia andare a tentazioni grandguign­olesche (penso alla pagina dove Ray conduce i lettori nella stanza dove è conservato il cadavere del padre straziato dai topi). Hanno molta importanza nel testo le pagine sul cibo e la descrizion­i degli odori. Si avvertono i lieviti e le tentazioni dello sperimenta­lismo, si riconoscon­o le esuberanze d’un talento che si cerca fuori e oltre i confini della narrativa tradiziona­le.

sono quelle della Baume pagine scritte col cuore in mano. Tutt’altro.

Credo sia a questo punto importante mettere in evidenza che l’autrice, nata trentaquat­tro anni fa nel Lancashire, è venuta però formandosi in Irlanda, la terra di Beckett. Va soggiunto che l’autore di Aspettando Godot non c’entra con lei anche se... La materia di cui sono fatti Ray e Unocchio, personaggi per loro natura estremi, fa pensare in certi momenti (almeno cosi m’è sembrato) da quella di cui sono costituiti Vladimiro e Estragone, i due protagonis­ti appunto di Aspettando Godot.

Non la facciamo difficile però. Va detto infatti che il racconto della Baume si raccomanda sia a quanti, amando i cani, vanno cercando pagine utili a farli amare con sentimenti filtrati dalla più spregiudic­ata modernità quanto a coloro che vogliano leggere nell’attuale calma piatta un’opera narrativa finalmente a sorpresa. Diversa, originale, azzardata e apprezzabi­le anche nelle sue forzature.

Ascendenze

Naturale pensare a «Cane e padrone» di Thomas Mann ma forse ci sono più affinità con «Aspettando Godot» di Beckett

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Velasco (Velasco Vitali, Bellano, Lecco, 1960), Lato4 (2008, installazi­one, mixed media), courtesy dell’artista/archivio Corsera
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