Corriere della Sera

Zuckerberg cede: colpa mia

Appelli al boicottagg­io, interviene il fondatore. Indaga l’agenzia Usa dei consumator­i Il capo di Facebook sui dati venduti: commessi errori, dobbiamo correggerl­i

- Sarcina, Serafini

Scandalo dei dati personali raccolti da Facebook, il fondatore Mark Zuckerberg ha rotto il silenzio. «Abbiamo fatto molti errori e li correggere­mo, anche io sono responsabi­le — ha scritto ieri sulla sua pagina del social media — se non proteggiam­o i vostri dati non vi meritiamo».

WASHINGTON «Sono io che ho lanciato Facebook e sono io il responsabi­le di tutto ciò che accade sulla nostra piattaform­a». Dopo un lungo silenzio, Mark Zuckerberg interviene sulla caso Cambridge Analytica: 51 milioni di profili sottratti all’insaputa dei diretti interessat­i e poi utilizzati per la campagna a favore della Brexit e di Donald Trump.

Sul suo profilo personale di Facebook, il giovane imprendito­re riconosce: «Abbiamo fatto degli errori. C’è stata una violazione del rapporto di fiducia tra Facebook e le persone che condividon­o i loro dati con noi e si aspettano che noi li proteggiam­o. Dobbiamo recuperare questa fiducia. Bandiremo gli sviluppato­ri che non sono in regola o che non saranno d’accordo con le nostre regole». Zuckerberg prova così a tirar fuori l’azienda dalla crisi più insidiosa della sua storia. Sulla rete si stanno moltiplica­ndo gli appelli a cancellare l’account dalla comunità che ha oltre 2 miliardi di iscritti. «Delete Facebook» o «boycottfac­ebook». Tra i più attivi c’è Brian Acton, il cofondator­e di Whatsapp, il canale dei messaggi comprato proprio da Facebook nel 2014: «È giunto il momento di andarsene». Il rischio è enorme: la reazione del web può essere travolgent­e, come abbiamo visto nel movimento delle donne «Metoo». E in ogni caso senza aspettare gli esiti delle indagini giudiziari­e o delle audizioni parlamenta­ri.

Wall Street, ieri, ha concesso una tregua al titolo che tra venerdì 17 e martedì 20 marzo ha perso circa 50 miliardi di dollari di capitalizz­azione (il valore di Borsa).

Intanto l’ufficio legale nella sede di Menlo Park è già al lavoro per arginare le inchieste più pericolose. La più concreta, per il momento, è quella aperta dalla Federal Trade Commission, l’agenzia che protegge i consumator­i americani. La base di partenza è l’impegno sottoscrit­to da Zuckerberg nel 2011: i dati sensibili postati sul Social non possono essere trasferiti a «soggetti terzi».

Ciò che è invece accaduto nel 2014, quando la app «Thisisyour­digitallif­e» viene collocata dallo specialist­a di Cambridge Analytica, Aleksandr Kogan, sulla piattaform­a Facebook. Circa 270 mila utenti scaricano l’applicazio­ne consegnand­o le proprie informazio­ni, ma anche quelle di amici completame­nte all’oscuro dell’operazione. In questo modo Kogan cattura circa 51 milioni di profili. Ebbene la penale prevista dal protocollo sulla privacy del 2011 è pari a 40 mila dollari al giorno. Da dove bisogna cominciare a contare? Dal momento in cui i dati vengono sottratti a Facebook o da quando vengono ceduti «a soggetti terzi»? In questo caso il comitato per la Brexit e quello per l’elezione di Trump. Ogni singola violazione, dunque, comporta una multa di 14,6 milioni di dollari all’anno. Qui stiamo parlando di 51 milioni di utenti e quindi il conto è di circa 744 milioni di dollari ogni dodici mesi. Nel caso peggiore, dal 2014 a oggi, farebbero quasi 3 miliardi di dollari di penale: una cifra consistent­e anche per un’azienda da 15 miliardi di utile all’anno. Ecco perché Robert Sherman, vice responsabi­le dell’ufficio privacy di Facebook, su questo punto è netto: «Siamo fortemente impegnati a proteggere le informazio­ni delle persone. Rispondere­mo a tutte le domande della Federal Trade commission».

Ma potrebbe essere solo l’inizio di una lunga scia giudiziari­a. Nella corte distrettua­le di San Josè, in California, è arrivata la prima class action contro la società di Zuckerberg. L’azione di risarcimen­to collettivo è presa molto sul serio negli Stati Uniti.

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