Strage di Bologna, un nuovo processo 38 anni dopo
Alla sbarra l’ex Nar Cavallini. Il pm: scusate il ritardo. La difesa rilancia la pista palestinese
BOLOGNA Passata la rievocazione del terrorismo rosso — con l’anniversario del sequestro Moro e lo sterminio dei cinque agenti di scorta, seguito dalle polemiche su apparizioni televisive e parole degli ex brigatisti — torna il ricordo dell’eversione nera. Stavolta in un’aula di giustizia: la strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, 85 morti e oltre duecento feriti. Trentotto anni dopo il più grave attentato della storia italiana, comincia un nuovo processo a carico dell’ex estremista neofascista Gilberto Cavallini, già pluriergastolano per diversi omicidi commessi dai Nuclei armati rivoluzionari. Oggi il 65enne Cavallini è semilibero, ma davanti alla corte d’assise è di nuovo imputato; i suoi presunti complici — Giusva Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini — non solo sono stati condannati, ma hanno già scontato per intero la pena.
Adesso però si ricomincia. E quegli stessi condannati — che continuano a dichiararsi innocenti per la strage, ammettendo solo i delitti commessi prima e dopo — sono citati come testimoni nel nuovo giudizio a carico del loro camerata d’un tempo. Sia dall’accusa che dalla difesa. Il fatto di essere in compagnia di Cavallini la mattina del 2 agosto, non a Bologna bensì a Padova, costituiva l’alibi di Fioravanti e Mambro; non solo non fu ritenuto credibile, ma ora l’asserita prova a discolpa diventa, nell’impostazione dei pm, un elemento a carico del neo-imputato.
È uno dei paradossi di un processo che arriva tardi; forse troppo, considerato che nei precedenti giudizi Cavallini era già alla sbarra ma per la sola banda armata (prese 10 anni di galera), mai con l’accusa di strage. E successivamente per due volte, fino al 2013, la Procura lo mise sotto inchiesta per la bomba alla stazione, prima di convincersi a chiederne l’archiviazione. Ora ha cambiato opinione, giacché una lettura «combinata e coerente» delle precedenti sentenze (non solo per la strage di Bologna, ma anche per quelle di piazza Fontana e di Brescia, altri capitoli della stessa «strategia della tensione» di matrice neofascista) ha convinto i pm a chiamare in causa anche lui. Per il suo ruolo di capo più anziano dei Nar e altre considerazioni. «Siamo arrivati in ritardo e di questo ci scusiamo — sostiene davanti ai nuovi giudici il sostituto procuratore Enrico Cieri — tuttavia il tempo trascorso non fa venire meno il dovere giuridico e morale di accertare i fatti e le responsabilità, anche a distanza di tanti anni». Così si chiede alla corte d’assise di considerare e collegare tra loro tutti gli elementi messi in luce dalle condanne del passato in modo da dimostrare la colpevolezza anche di Cavallini, e di ascoltare qualche testimone. Compreso, chiede un avvocato di parte civile, il leader di Forza nuova Roberto Fiore, che nell’80 era a capo del gruppo Terza posizione di cui fece parte il condannato Ciavardini.
«Ma Gilberto Cavallini si è sempre proclamato innocente e verrà qui a ripeterlo», ribatte l’avvocato Alessandro Pellegrini. Il suo assistito ha scelto di disertare la prima udienza, ma ci sarà quando sarà chiamato a deporre. Nel frattempo i suoi legali chiedono di convocare il terrorista internazionale Carlos e di riesaminare la «pista palestinese» alternativa a quella neofascista, perché «con tutto il rispetto per le sentenze irrevocabili, i giudici hanno il diritto e il dovere di rileggerle in maniera critica». Per i difensori non c’è niente di nuovo rispetto ai vecchi processi; e anzi, i dubbi sulla colpevolezza dei condannati nel corso del tempo sono aumentati. Così il nuovo processo — che riprenderà la prossima settimana con la decisione sui testimoni da convocare — diventa l’occasione per provare a riaprire quelli già chiusi, sebbene nel frattempo la Procura generale di Bologna abbia avviato nuove indagini sui mandanti delle strage a partire proprio dalle condanne definitive. Un altro sintomo delle difficoltà ad accertare la verità, qualunque essa sia.