Cheli, l’astronauta che sfida l’everest «Sogno quella vetta vista dallo Spazio»
I rischi: «Lì più imprevisti che sullo shuttle»
«V olavo sullo shuttle Columbia della Nasa e sorvolando l’everest rimasi attratto e colpito dall’impressionante maestosità. Pensai che mi sarebbe piaciuto un giorno o l’altro salirci in vetta». Maurizio Cheli racconta la storia della sua nuova impresa in una pausa degli impegni che riempiono affannosamente i giorni per prepararla. Era il 1996 quando Cheli rimase folgorato dall’immagine durante una missione dell’agenzia spaziale europea Esa. Ci sono voluti ventidue anni, ma alla fine il momento giusto è arrivato.
«Ci pensavo sempre e finalmente, tre anni fa, ho deciso di farlo. Adesso o mai più, mi sono detto, e con la guida Marco Camandona, grande esperto di scalate e protagonista su tante vette di sette-ottomila metri, ho iniziato a organizzare la spedizione». Così l’astronauta diventa alpinista, ultimo passo (per adesso) di una vita di sfide «sempre oltre». Gli inizi come pilota dell’aeronautica Militare, l’esperienza da collaudatore. Poi, nel 1992, il cambio di tuta: Cheli indossa quella di astronauta dell’esa europea volando quattro anni dopo a bordo dello shuttle, primo italiano qualificato dalla Nasa «specialista di missione». Ma lui è uomo d’azione e i tempi lunghi per il ritorno in orbita fanno prevalere la mai sopita passione per le ali dei jet: diventa capo collaudatore del nuovo caccia europeo Typhoon in Alenia, l’azienda costruttrice. Nel frattempo conquista tre lauree (una a Houston) e un master in Business administration. In poco tempo crea due start-up per produrre velivoli elettrici e apparati elettronici. Il sogno dell’everest, però, rimane. Anzi, prende sempre più forma.
«Dovevo capire se ero in grado di affrontare una sfida In orbita
La preparazione
Il 10 aprile volo per Katmandu: campo base a 5.300 metri, a maggio la scalata
del genere — racconta —. Per questo con Marco, mi sono messo alla prova. Prima un’ascensione a quattromila metri sulle Alpi, poi il Kilimangiaro e i settemila metri del picco dell’aconcagua, sulle Ande. A quel punto ero pronto per il balzo sul tetto del mondo».
La partenza è fissata per il 10 aprile. Prima verso Katmandu e poi sul campo base dell’everest a quota 5.300 metri aspettando il momento climatico favorevole per la salita, tra il 20 e il 30 maggio. Assieme a Cheli ci saranno, oltre a Marco Camandona, anche la guida Francois Cazzanelli e Sergio Cirio. «Le tappe intermedie sono necessarie per acclimatarci e poter affrontare la vetta. La salita è per me un viaggio interiore unito al desiderio di esplorare la natura estrema assaporando lo straordinario percorso per arrivare. L’everest, insomma, è un’altra sfida con me stesso».
Le esperienze passate sono comunque un bagaglio prezioso a cui attingere. «Nella preparazione meticolosa del viaggio ho adottato gli stessi metodi per volare sui jet o nello spazio con lo shuttle. Nulla è improvvisato. La cura dei minimi particolari è indispensabile, perché l’imprevedibile a cui far fronte potrebbe essere forse maggiore dello sfrecciare in orbita. E quando torno racconterò le mie emozioni».
Aspettando la prossima sfida.