«Trattenuto in Cina, ma estraneo a una truffa»
Le autorità italiane sono da mesi attive per risolvere la mia situazione, ma non ottengono risultati. Ero venuto in Cina alla fine di novembre 2017 per una settimana di vacanza, ma al momento dell’imbarco per il ritorno, la polizia di frontiera mi ha impedito di partire perché era stato emesso un «travel ban» (divieto di viaggio) dall’autorità fiscale per tasse non versate relative a una società (50% cinese e 50% italiana) della quale risultavo ancora legale rappresentante. Ho poi scoperto che tale società, che ritenevo chiusa dal 2010, ha continuato a operare, gestita da cinesi che l’hanno utilizzata per una frode ai danni del fisco per 4 milioni di euro. Poiché io, senza saperlo, rimanevo formalmente legale rappresentante della società, in base alla legge cinese, nel 2016 è stato emesso un «travel ban» nei miei confronti, scattato al mio primo viaggio in Cina. Il divieto, che non mi era stato notificato, era stato affisso a un apposito albo, sicché erano scaduti i termini per un’impugnazione. Grazie all’ambasciata italiana, ho raccolto sei testimonianze sulla mia estraneità. A metà gennaio gli avvocati hanno chiesto alle autorità cinesi la revoca del divieto di espatrio, ma costoro sono irremovibili nel pretendere che il «legale rappresentante» rimanga lì. Ma a che serve? Mi viene raccomandata prudenza e attenzione, ma io sono innocente, perché dovrei avere paura?