Corriere della Sera

LA POLITICA DEVE TORNARE PROPOSITIV­A

Il saggio (Einaudi) di Esposito

- Di Donatella Di Cesare

Che cosa vuol dire negare? Il «non» che compare così spesso nelle frasi quotidiane della lingua ha un valore esistenzia­le oppure solo logico-linguistic­o? Il tema della negazione attraversa tutta la filosofia da Parmenide fino alle odierne analisi logiche. Si potrebbe anzi dire che ne costituisc­a uno degli assi portanti. E se la negazione appare tradiziona­lmente secondaria rispetto all’affermazio­ne, non mancano quei filosofi che ne riconoscon­o invece l’originarie­tà.

Nel suo ultimo libro Politica e negazione. Per una filosofia affermativ­a (Einaudi, pagine 207, 22), complesso e stimolante, che si articola lungo un cammino già per molti versi familiare all’autore, Roberto Esposito accoglie la sfida difficile di trovare un nuovo nesso tra politica e negazione, per cercare una via propositiv­a e affermativ­a. Tema, dunque, scottante. L’intento è quello di uscire dall’impasse che ha segnato il Novecento portando ai crimini epocali, primo fra tutti quello dello sterminio.

Così, insieme alla paradigmat­ica logica amico-nemico di Carl Schmitt, questa volta Esposito riprende in parte anche la riflession­e sviluppata da Heidegger nei Quaderni neri, e cioè il problema, dibattuto in questi ultimi tre anni, dell’ annientame­nto, o meglio, dell’ auto annientame­nto. Si ricorderan­no infatti le parole che hanno rotto per sempre il silenzio di Heidegger sulla Shoah (è stato il «Corriere» a pubblicare in anteprima mondiale quei passi divenuti celebri). La negazione dell’altro assume un valore ontologico, diventa annientame­nto, al punto da presentars­i come auto annientame­nto .« Gli ebrei si sono auto annientati », questa l’ interpreta­zione scioccante ch eH e id egger dà della Shoah. Laneg azione che trionfa è quella che porta il nemico ad autodistru­ggersi.

Se la negazione è «innegabile», occorre però — così suggerisce giustament­e Esposito — uscire dall’impasse novecentes­ca che pesa ancora sulla politica, incapace di concepirsi se non a partire da un nemico esterno assoluto. È la politica del contro che non sa proporre. Serbare la negazione si può e si deve, evitando ogni esito estremo, ma anche ogni deriva nichilisti­ca. Più che seguire la pista aperta da Platone, che nel non-essere vede l’essere altro (pista fin troppo frequentat­a nella filosofia contempora­nea), Esposito guarda ai classici del pensiero politico, in particolar­e a Hobbes, che nello Stato moderno individua quell’atto creativo in grado di annullare il negativo, cioè lo stato di natura, che lo precede. Ma un ruolo di primo piano spetta, nell’ultima parte del libro, da un canto a Deleuze, pensatore della differenza, dall’altro a Foucault che ha saputo scorgere i meccanismi diffusi del micropoter­e.

Come contrastar­e il negativo senza negarlo? Assumere la negazione in piccole dosi immunitari­e, far sì che sia opposizion­e tra positivi, determinaz­ione: ecco l’indicazion­e che Esposito offre nelle ultime pagine a un pensiero che affermi e non neghi. L’autore di Communitas. Origine e destino della comunità (Einaudi, 2006), che ha segnato certamente un prima e un poi nella filosofia politica contempora­nea, sembra essere, nel complicato scenario attuale, preoccupat­o non tanto di smussare il conflitto, quanto di trasporre il negativo in un «registro positivo», di trovare una via d’uscita a una negazione altrimenti sterile, che rischia, com’è facile constatare nel paesaggio politico di questi giorni, di essere alla fin fine condannata o a una autodistru­zione oppure a una vuota sterilità.

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