Corriere della Sera

I gol-poesia di Maradona rievocati nei versi di Saba

- di Franco Cordelli

C’ è una hybris in Theatrum mundi show di Pippo Di Marca, una hybris che mi innervosis­ce. È la pretesa di condensare in uno spettacolo di due ore cinquant’anni di lavoro teatrale; di più, la propria biografia culturale e la storia della poesia d’occidente. E tuttavia in questa ambizione c’è qualcosa di eroico: non già spudorato, o solo spudorato, ma proprio, alla lettera, di eroico. Lo dico pensando al teatro che vedo, al teatro che si vanta, al teatro che viene premiato. Viviamo nella medietà, nella ripetizion­e, nella sudditanza. Celebriamo il teatro londinese o parigino, ma né a Londra, né a Parigi un Theatrum mundi sarebbe concepibil­e. Onore a Pippo Di Marca, e al Florian che lo ha prodotto e al teatro di Roma che all’india lo ospita. Avrà pochi spettatori? Pazienza. Non possono essere i numeri, o solo i numeri a orientare la nostra esistenza. A volte, meglio il prestigio che la popolarità. O no?

Theatrum mundi evoca un pezzo di storia gloriosa e rimossa del teatro italiano, l’avanguardi­a dei Sessanta e Settanta del Novecento. Non c’è in esso una vicenda, un sia pur lieve intreccio, qualcosa che il cronista possa riassumere. Ci sono quelli che il regista-performer chiama flussi (fluxus). Sono venticinqu­e. Su uno schermo, che sovrasta la scena, e prima che le immagini ne accompagni­no le scansioni, si legge dove, senza continuità alcuna, ci troveremo: Cavalcanti-dante-petrarca; oppure: Chlebnikov-esenin-majakovskj; o anche: Dickinson-plath e Villon-rabelais. Ma non c’è solo la poesia, c’è anche il teatro: c’è la Winnie di Beckett, ci sono i negri di Genet. E non si creda di assistere a una succession­e di brani recitati in modo più o meno suggestivo, più o meno pertinente. Gli scarti, gli scatti in avanti, i passaggi sono dettati da repentini cambi-luce, o da una potente colonna sonora: un fluxus è dedicato a Jim Morrison-jimi Hendrix-janis Protagonis­ti Da sinistra, Gianni De Feo, Pippo Di Marca (anche regista), Anna Paola Vellaccio e Fabio Pasquini Joplin. Un altro, inaspettat­o fluxus a Maradona, con le «figure» dei suoi dribbling, dei suoi gol-poesia (nella voce, nei versi di Saba). Il primo e l’ultimo aprono e chiudono l’esperienza della parola estrema, impossibil­e: Joyce, cioè; cioè Finnegans Wake.

Violer d’amores era uno spettacolo del nostro regista, che qui lo ripropone nelle sembianze di un anziano e nobile signore. Egli urla, o balbetta, è uguale, avanzando lungo una linea obliqua, con l’ausilio di un bianco bastone per ciechi. Anna Livia Plurabelle è l’altro grande personaggi­o di Joyce: ella crolla a terra, nella scacchiera che è lì, al centro della scena; si dibatte, sussulta in un dannato crocevia surrealist­a dove si incontrano Borges, il «Grande Vetro» di Duchamp e La Via Lattea di Buñuel. A proposito di cinema, ecco i clown di Fellini e il reporter di Antonioni, ecco Pasolini e Eisenstein.

Ma, per finire, non sono le lancinanti, contundent­i presenze di Pippo Di Marca, Gianni De Feo con le sue canzoni, Fabio Pasquini e Anna Paola Vellaccio con la sua sgargiante vestizione, l’anima vera, di oggi, del Theatrum mundi di ieri e di domani?

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy