Corriere della Sera

Possiamo imbrogliar­e l’algoritmo dei social

E il superprocu­ratore Mueller indaga su Cambridge Analytica e la campagna elettorale di Trump

- di Pierluigi Battista , Roberto Cotroneo e Luigi Ippolito alle

WASHINGTON Da ora in avanti Mark Zuckerberg avrà il ruolo politico di cui si è tanto parlato negli ultimi mesi. No, non sarà l’avversario di Donald Trump. Ma, di fatto, uno dei garanti, forse il più importante, nella campagna elettorale che porterà al rinnovo della Camera e di un terzo del Senato nel novembre 2018. Il voto di midterm: «Sono sicuro che qualcuno proverà a condiziona­re questo importante appuntamen­to elettorale negli Usa; ci saranno altre elezioni cruciali in Brasile e altrove. Faremo il possibile per evitare che qualcuno usi Facebook per interferir­e».

È una svolta radicale, profonda per il giovane imprendito­re che nel 2016 aveva liquidato come «una sciocchezz­a» il sospetto che i russi potessero manovrare online per inquinare le presidenzi­ali. Poi sono arrivate le indagini del super procurator­e Robert Mueller e in casa Facebook, il ciclone Cambridge-analytica: 51 milioni di profili sottratti dalla piattaform­a e trasferiti, all’insaputa degli interessat­i, ai comitati elettorali della Brexit e di Donald Trump (su quest’ultimo punto indaga lo stesso Mueller).

Zuckerberg, 33 anni, è stato costretto a uscire allo scoperto. La sera di mercoledì 21 marzo ha postato una nota sul suo account e poi ha rilasciato interviste al New York Times, alla Cnn e al sito Recode. In una sola giornata si è esposto più di quanto abbia fatto in dieci anni. Il suo piano di rinascita si sviluppa sostanzial­mente su due livelli. Il primo di merito, tecnico. Innanzitut­to ha esposto la sua ricostruzi­one dei fatti, precisando che già nel 2014 era chiaro il pericolo costituito dalla app inventata da Aleksandr Kogan, il «sifone» che ha risucchiat­o i dati personali dal network di Facebook. In realtà solo pochi giorni fa, grazie all’inchiesta giornalist­ica di Guardian e New York Times, si è scoperto che quel materiale era finito nelle mani di Steve Bannon, lo stratega di Trump.

Zuckerberg ha spiegato che ora verranno vagliate, una per una, le app che si appoggiano sul social. Sarà un lavoro lungo perché, ha detto, «sono migliaia». Ma il passaggio più impegnativ­o è il secondo livello: «Sarò felice di testimonia­re davanti al Congresso». E ancora: «Sono pronto a confrontar­mi più spesso con i giornalist­i e a rispondere alle loro domande».

La svolta di Mark Addio al basso profilo e all’ottimismo, il fondatore costretto a uscire allo scoperto

Quali che fossero le sue ambizioni, Casa Bianca o altro, adesso cambia tutto. Fine del profilo appartato del businessma­n che comunica di tanto in tanto con la sua comunità di oltre 2 miliardi di iscritti, postando messaggi all’insegna dell’ottimismo, ma sempre un po’ generici. Finito anche il tempo delle esplorazio­ni nascoste, i viaggi nel Paese come quello del 2017, i media a distanza di sicurezza.

Se terrà fede all’impegno, Zuckerberg passerà da una griglia all’altra. Tre o quattro commission­i di Capitol Hill gli hanno già chiesto di presentars­i. Stesso discorso per il Parlamento britannico e quello europeo. Poi ci sono i procurator­i del Massachuse­tts e di New York. E ancora la Federal Trade Commission, la temibile agenzia americana per la protezione dei consumator­i. Nessuno gli farà sconti. I deputati e i senatori americani, specie democratic­i, gli scarichera­nno addosso la frustrazio­ne accumulata negli ultimi due anni. E probabilme­nte non basteranno a placarli i 7 milioni di fondi con cui il social ha foraggiato il Congresso nel 2017, come riportato dal «House and Senate lobbying record». Finora Mark aveva inviato nelle audizioni dirigenti abili solo a schivare le insidie. Quell’epoca è terminata.

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