Intercettazioni, pm e avvocati contro la legge
Il tentativo di modificare la riforma, oggi incontro a Roma: «Sbagliato il divieto totale di trascrizione»
C’è tempo fino a luglio per modificare le nuove regole sulle intercettazioni. Lo chiedono avvocati e pubblici ministeri. Oggi l’incontro a Roma.
ROMA Il decreto è entrato in vigore a gennaio, ma solo per due articoli su sette (a parte la clausola finanziaria e la norma transitoria). Il resto è rinviato alla fine di luglio. Dunque ci sarebbe ancora tempo per modificare le nuove regole sulle intercettazioni, o almeno per aggiustare quelle che pubblici ministeri e avvocati considerano vere e proprie storture, che non aiutano a proteggere la privacy degli intercettati (come nelle intenzioni del legislatore) e servono solo a ostacolare le indagini e il mandato difensivo. Per una volta, su alcuni capitoli della riforma varata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, le toghe sembrano schierate dalla stessa parte; una inedita alleanza fra accusa e difesa già emersa dai documenti inviati in autunno in Parlamento, e che verrà rilanciata oggi in un pubblico confronto organizzato a Roma tra i procuratori e i presidenti delle Camere penali delle principali città.
L’intenzione dichiarata è trovare un’intesa per unire le forze e migliorare la riforma approvata il 29 dicembre scorso dal governo Gentiloni; e l’impostazione tesa al dialogo costruttivo è dimostrata dal fatto che l’introduzione ai lavori è stata assegnata al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e al presidente della Camera penale capitolina Cesare Placanica, mentre a tirare le conclusioni saranno il presidente dell’associazione magistrati Eugenio Albamonte e il capo dell’unione camere penali Beniamino Migliucci.
Le osservazioni già trasmesse alle commissioni Giustizia di Camera e Senato dai procuratori e rappresentanti degli avvocati di Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Firenze hanno sortito qualche effetto. Ad esempio, per i difensori degli indigati è stato reintrodotta la possibilità non solo di ascoltare le intercettazioni utilizzate per emettere un ordine di arresto, ma anche di ottenere la copia delle trascrizione, cosa che nella precedente versione del decreto era impedita. E gli avvocati hanno pure ottenuto che delle conversazioni registrate casualmente con i loro assistiti non venga annotata alcuna indicazione sui contenuti. È rimasto invariato, invece, un punto dirimente e qualificante della riforma che rappresenta un ostacolo sia per i pubblici ministeri che per i difensori: «È vietata la trascrizione, anche sommaria, delle comunicazioni o conversazioni irrilevanti ai fini delle indagini, sia per l’oggetto che per i soggetti coinvolti».
Per i procuratori questa disposizione è d’intralcio all’accertamento di fatti e responsabilità, ma anche al diritto di difesa, giacché l’irrilevanza si può dedurre solo al termine delle indagini, e non nell’immediatezza dell’ascolto; analisi condivisa dagli avvocati, che senza i «brogliacci» con il riassunto degli argomenti trattati non saprebbero come orientarsi nel mare di registrazioni da ascoltare. Di qui il suggerimento dei magistrati di introdurre il divieto solo per le conversazioni «manifestamente irrilevanti», lasciando un margine d’interpretazione più ampio; finora è rimasto inascoltato, se riproposto insieme potrebbe avere un destino diverso.
Su altre questioni magistrati e pm restano divisi (ad esempio sull’uso del trojan, il virus che trasforma computer e telefonini in microspie) ma l’intenzione è muoversi congiuntamente per raggiungere gli obiettivi comuni. «Trovare sinergie con l’avvocatura è una strada da percorrere in generale — dice il presidente dell’anm Albamonte —, ma in particolare quando c’è da coniugare l’efficacia delle indagini con i diritti delle persone». E il presidente della Camera penale di Roma Placanica rilancia: «Alcuni miglioramenti li abbiamo ottenuti, ma altri potranno venire se riusciremo a fare fronte comune con i magistrati».
Il giudizio condiviso
Le norme rendono difficoltose le indagini e non tutelano il diritto di difesa. Le divergenze sull’uso dei virus «trojan»