Corriere della Sera

UN’ITALIA PIÙ FORTE IN EUROPA

Il nuovo Parlamento In attesa del governo che verrà, si potrebbe approvare un documento «non partisan» da affidare ai ministri del vecchio esecutivo Gentiloni

- di Mario Monti

Si apre oggi a Roma la nuova legislatur­a, mentre è riunito a Bruxelles il Consiglio europeo. Impegnati nell’elezione dei presidenti delle Camere, i senatori e i deputati dovrebbero riflettere anche sul filo invisibile che sempre di più, ma oggi in particolar­e, collega la Capitale italiana e quella europea.

Dal Parlamento che si riunisce oggi emergerà, con la regia del capo dello Stato, il prossimo governo. Ma potrebbero occorrere tempi lunghi, anche più del solito. Intanto in Europa, nelle prossime settimane e mesi, si prenderann­o decisioni destinate a influenzar­e la vita dei cittadini e delle imprese per anni, forse per decenni. Francia e Germania sono ora in grado di dare il la a riforme importanti su temi come la governance dell’eurozona, l’unione bancaria, le regole sulla finanza pubblica, il bilancio dell’unione Europea dopo il 2020, la gestione della sicurezza e delle frontiere esterne, le norme sui migranti e i rifugiati e i modi per farle effettivam­ente rispettare.

Tutto questo rischia di avvenire mentre l’italia, concentrat­a su un passaggio sacrosanto della propria vita democratic­a, non può avere piena rappresent­anza politica ai tavoli europei. Finché dal nuovo Parlamento non nascerà un nuovo governo, le posizioni dell’italia saranno espresse, con piena legittimit­à, dal governo Gentiloni, nato dal vecchio Parlamento. Il presidente del Consiglio e diversi ministri hanno esperienza e godono di ottima reputazion­e.

Hanno probabilme­nte una capacità negoziale maggiore di quella che, almeno nei primi tempi, potrà avere il governo che verrà. Ma Gentiloni e i suoi ministri non possono avere, nel trattare con gli altri Stati membri e con le istituzion­i comunitari­e, lo stesso peso politico che potrà avere il futuro governo se, come è da sperare, parlerà a nome dell’italia dei prossimi anni. Altri Paesi, agguerriti e con chiari progetti sul loro ruolo in Europa, potrebbero approfitta­rne a nostro danno.

L’italia ha però, tra le sue doti, quella di sapere a volte trasformar­e i problemi in opportunit­à. È uno dei tratti del soft power del nostro Paese. Perché non provarci in questa occasione? Il Parlamento che oggi si riunisce per la prima volta potrebbe, nelle prossime settimane, aiutare il governo Gentiloni a rafforzare in Europa il nostro Paese, senza trarne vantaggio per sé e senza alterare la forza rispettiva dei diversi partiti ai blocchi di partenza della nuova legislatur­a.

In che modo? Si potrebbe lavorare a una mozione il più possibile «nazionale» e non partisan, approvata sia alla Camera sia al Senato, che presenti all’opinione pubblica europea e, attraverso il governo in carica, ai tavoli europei un’italia più esigente di quanto è stata in generale in passato e meno divisa nel volere un’europa più efficace di quanto il dibattito interno degli ultimi anni abbia fatto credere ai partners europei.

Impossibil­e? Non credo, se si tiene presente che in questo modo il nuovo Parlamento riuscirebb­e a dare per tempo un indirizzo di politica europea già al governo in carica. Inoltre, darebbe subito più forza all’italia, spazzando via gli alibi che inducono le classi politiche di diversi Paesi (sospettosi Paesi del Nord, ma anche Paesi del Sud non

Interesse nazionale I partiti «populisti» non vogliono perdere la sovranità a favore di tasche private

infelici se l’italia va un po’ indietro) alla tacita intesa che è rischioso avere l’italia di oggi nella cabina di regia. E poi, nel maggio 2019 ci saranno comunque le elezioni europee. Quello, non oggi, è il momento in cui i partiti potranno, se proprio lo vorranno, riprendere a combatters­i sull’europa. Intanto, avrebbero tutti contribuit­o a fare l’interesse del Paese, senza che alcun partito abbia fatto danno a se stesso.

Su quali punti imperniare la mozione? Dovrebbero essere naturalmen­te i partiti, a cura di Carlo Baroni soprattutt­o quelli che parlano spesso di «interesse nazionale», a identifica­re posizioni di possibile accordo. Non credo sia troppo arduo trovare formulazio­ni di sostanza e tali da raccoglier­e il sostegno di diversi partiti, in particolar­e su quello che ci si aspetta dall’europa, e che l’italia si impegna a fare, in tema di migrazioni e rifugiati; sul condiziona­mento dei fondi struttural­i al rispetto delle norme comunitari­e; sulla politica per l’africa; su una disciplina più corretta della finanza pubblica, con più spazio per gli investimen­ti e meno uso di quelle «flessibili­tà» che si traducono in spesa corrente; sul bilancio Ue post 2020, più legato alle priorità di oggi e di domani che a quelle del passato; su una vigorosa leadership dell’europa, con gli strumenti della politica di concorrenz­a e della regolazion­e, verso una disciplina antitrust e fiscale dei giganti di Internet, anche a tutela della democrazia.

Proprio i partiti che vengono definiti «populisti» o «sovranisti», spesso ritenuti ostili alla costruzion­e europea, se vogliono che la sovranità degli Stati non svanisca del tutto a favore di mani e tasche private e a danno del popolo, dovrebbero essere i primi a battersi per la ricostruzi­one di una sovranità pubblica a quell’unico livello al quale ciò può avvenire, il livello europeo. Stefano Feltri, vicedirett­ore del Fatto quotidiano, lo ha spiegato chiarament­e in «Populismo sovrano» (Einaudi, 2018).

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