Corriere della Sera

La scheda bianca dei dem

- di Maria Teresa Meli e Francesco Verderami

I l Pd potrebbe votare scheda bianca così da agevolare al Senato l’elezione di Romani e mettere in difficoltà i grillini.

L’unico a vincere ieri è stato Mattarella, perché le difficoltà dei partiti a chiudere un’intesa sulle presidenze delle Camere è la plastica dimostrazi­one della sua tesi, che si tradurrà nello schema con cui avvierà le consultazi­oni: le urne non gli hanno consegnato un vincitore, dunque nessuno potrà salire al Colle e rivendicar­e il mandato in virtù del voto. A parte il fatto che prima del rito al Quirinale andrebbero elette le due cariche istituzion­ali, e ancora ieri non si è riuscito a far quadrare il cerchio. Il problema è che le poltrone di Montecitor­io e palazzo Madama sono inevitabil­mente legate agli equilibri di governo.

E ognuno ha (e fa) il suo gioco: Di Maio puntava ad attirare a sé Salvini per dividerlo da Forza Italia; Salvini immaginava di costruire un’intesa con il Movimento a nome di tutto il centrodest­ra; Berlusconi voleva piegare i grillini chiedendo che ne riconosces­sero il ruolo; il Pd ha deciso di fare un passo indietro per non spaccarsi prima del previsto. Nessuno al momento ha centrato il proprio obiettivo.

Però la scelta dei democrat può avere un peso sull’esito della sfida per le presidenze: votare scheda bianca può indirettam­ente agevolare al Senato l’elezione del forzista Romani e mettere in difficoltà i grillini che vorrebbero la Camera, riaprendo i giochi sulla terza carica dello Stato. Di questo hanno discusso ieri i plenipoten­ziari di Berlusconi e Renzi: Gianni Letta e il ministro Lotti. L’idea era verificare se davvero esistesse un patto ormai tra Movimento e Lega con l’intento di farlo saltare.

Ma il capo del Carroccio, sciogliend­o la riserva sulla candidatur­a di Romani — tenuta in stand-by al vertice con il Cavaliere avvenuto a pranzo — ha fatto capire che non intende rompere la coalizione: il suo interesse è egemonizza­rla. La mossa però non ha dissolto del tutto i sospetti dei forzisti, che ieri pomeriggio avevano chiesto l’allineamen­to delle votazioni tra Camera e Senato, perché — siccome a palazzo Madama gli scrutini saranno più lenti — temevano una successiva imboscata a Montecitor­io, senza avere più strumenti per difendersi.

Salvini resta comunque convinto che sia necessario assegnare uno scranno istituzion­ale ai grillini e rigetta l’ipotesi — avanzata da Berlusconi — di destinarne uno al Pd. Anche perché teme ciò che aveva spiegato al Cavaliere: «Se noi li tenessimo fuori, i Cinque Stelle potrebbero offrire il Senato al Pd, batterci al ballottagg­io e poi prendersi la presidenza di Montecitor­io». Il leader di Forza Italia però sa che una simile operazione verrebbe stoppata da Renzi, che ha la golden share del gruppo dem a palazzo Madama. E siccome Di Maio non offrirebbe mai il Senato a un esponente vicino all’ex segretario del Pd, a scrutinio segreto il blitz fallirebbe.

Si vedrà se al Senato verrà eletto Romani, che ieri era preoccupat­o di venire impallinat­o. Qualora ci riuscisse e intanto non si fosse raggiunto un compromess­o alla Camera con il Movimento, sarebbero i grillini a rischiare. E i tentativi di abbordare i democratic­i sono la prova delle loro difficoltà. «Azzerata» la mediazione tra Di Maio e Salvini, il leader della Lega potrebbe tentare di coprire il fallimento della sua operazione con i Cinque Stelle, conquistan­do la presidenza per un suo esponente: Giorgetti. Ma sarebbe complicato trovare i voti nel Pd.

Montecitor­io rischia di essere l’altare su cui verrebbero sacrificat­e le aspirazion­i di chi si proclamava «vincitore», sebbene M5S e Lega continuino a crescere nei consensi e a espandersi sul territorio. Ma è nel Palazzo che ora si devono misurare, e visto quanto sta accadendo sulle presidenze, non è difficile immaginare cosa succederà quando si dovrà discutere di governo. Con Renzi che esclude già da ora qualsiasi ipotesi fantasiosa che coinvolga il Pd non ci sono schemi alternativ­i. Perciò il Cavaliere è preoccupat­o: più delle cariche istituzion­ali, gli interessa la nascita di un governo non ostile alla vigilia di tornanti decisivi per le sorti delle sue aziende.

Le strategie

La scelta del Pd di non indicare nomi al Senato può mettere in difficoltà i grillini

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