Corriere della Sera

Di Maio: senza di noi si faranno male

«Abbiamo il 36% dei deputati, come lo spiegano agli italiani?». L’incontro con l’ambasciato­re Usa

- Emanuele Buzzi

MILANO Il silenzio, l’orgoglio e il timore. Luigi Di Maio affronta lo stallo nella sua prima partita da capo politico dei Cinque Stelle. E mischia le carte dopo una giornata complicata. Chi ha parlato con il leader del Movimento lo descrive come «determinat­o a non cambiare linea». «Non vogliamo legittimar­e Berlusconi», è il messaggio dei Cinque Stelle.

Tra i parlamenta­ri (e non solo), però, si affaccia l’ipotesi che alla fine le presidenze di Montecitor­io e Palazzo Madama non andranno ai pentastell­ati. Nemmeno una. Una ipotesi che nel Movimento scongiuran­o, ma non temono. «Nessun cerino in mano: se si prendono la presidenza delle Camere si fanno del male da soli. Noi abbiamo il 36% dei deputati, siamo il primo partito d’italia: come lo spiegheran­no agli italiani?», ragionano i vertici. Il rischio-solitudine (in Parlamento) è alto. La strategia è aprire a nuove convergenz­e: o con il Carroccio in solitaria o (più probabile) con i dem. «Forza Italia per noi in queste condizioni non è un interlocut­ore». Come a dire: o si apre una nuova fase o si va al muro contro muro. «I primi voti andranno a vuoto», assicurano.

Ma la giornata è stata costellata da un’altalena di colpi di scena. Di Maio si è trovato bloccato di prima mattina da una tenaglia. Doppia, per giunta. Da un lato, il timore di una spaccatura interna — con gli ortodossi sul piede di guerra per un «patto» su un nome forzista al Senato —, dall’altro la necessità di non ritrovarsi messo ai margini al termine di una partita complessa, delicata. La fronda, a Palazzo Madama, rischiava di arrivare a quota 20-25 senatori. Troppi per iniziare così la legislatur­a. «Abbiamo fatto gioco di squadra, coinvolgen­do ogni nostra anima nelle discussion­i», dicono nei Cinque Stelle. Un modo di dire che anche gli ortodossi sono stati cooptati nelle scelte. E in un primo momento puntano l’indice contro la Lega che «si fa trascinare da Berlusconi». Una posizione smussata poi con il passare delle ore.

Di Maio è in contatto telefonico con Matteo Salvini (il leader leghista scherza: «Lo sento più di mia madre») e incontra Fico, secondo i rumors pronto a sfilarsi. Sono ore convulse. «Dobbiamo rimanere uniti», ammonisce Di Maio, dettando le priorità: prima la compattezz­a del Movimento, poi — in parallelo — la partita per le presidenze.

Riunioni nella «war room»

Lewis Eisenberg

pentastell­ata per decidere come sbrogliare la partita. Di Maio mette i panni del mediatore. Si intensific­ano anche i contatti con i dem. Fico viene confermato al centro del progetto. Poi, via Facebook, il capo politico rilancia, proponendo un tavolo con i capigruppo, allontanan­do l’idea di un incontro con Berlusconi. E ribadisce che Paolo Romani «per noi è invotabile».

Nel rebus delle Camere, Di Maio apre una finestra sulla diplomazia internazio­nale e incontra l’ambasciato­re americano Lewis Eisenberg. È la stessa ambasciata Usa a Roma su Twitter a renderlo noto spiegando che Di Maio ha parlato dei «suoi progetti sul futuro dell’italia». I rapporti con gli States rimangono centrali. Poi Di Maio riprende il valzer di telefonate e riunioni, che si protrae anche in piena notte, dopo l’incontro tra i capigruppo: i vertici si vedono al comitato elettorale. Ennesima war room. E Di Maio twitta: «No al Nazareno bis».

d Di Maio ci ha illustrato i suoi progetti per l’italia

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