L’imbarazzo dell’università per le ricerche di Kogan
L’Università di Cambridge si era accorta che qualcosa non andava: e aveva cercato di prendere le distanze. Perché il lavoro di quel ricercatore, Aleksandr Kogan, sarebbe stato all’origine dello scandalo che ha investito Facebook. Il Centro psicometrico dell’ateneo inglese aveva lavorato per anni allo sviluppo di strumenti in grado di analizzare i dati degli utenti Facebook allo scopo di trarne indicazioni utili sul piano psicologico e politico. Kogan era entrato a far parte del dipartimento di psicologia di Cambridge nel 2012: ma ben presto, ha rivelato ieri il Financial Times, i suoi colleghi cominciarono a sollevare perplessità sul fatto che lui adoperasse le ricerche dell’università per sviluppare una app da usare per scopi commerciali. Kogan, infatti, aveva messo a punto uno strumento che gli aveva consentito l’accesso ai profili di 51 milioni di utenti Facebook: questa messe di dati è stata passata a Cambridge Analytica, la società anglo-americana di analisi dati che ha adoperato il «tesoro» per aiutare la campagna presidenziale di Donald Trump. L’università di Cambridge ha sempre cercato di distanziarsi da Cambridge Analytica, che ha adottato quel nome per sfruttare il prestigio dell’ateneo inglese. Secondo un professore citato dal Financial Times, il lavoro di Kogan «non era qualcosa che avremmo approvato e lui non avrebbe dovuto farlo. E quando lo ha fatto, il dipartimento avrebbe dovuto prendere provvedimenti». A un certo punto, secondo il quotidiano, era anche intervenuto il dipartimento legale dell’università, che si era rivolto a un avvocato esterno nel tentativo di risolvere la disputa che opponeva Kogan ai colleghi, preoccupati per come lui aveva intenzione di usare le loro ricerche: ma alla fine non se ne era fatto nulla.