PARADOSSO INGLESE: PASSAPORTI DELLA BREXIT MA «MADE IN FRANCE»
Parbleu!, sarebbe proprio il caso di esclamare. Doveva essere una delle pietre miliari della Brexit: il ritorno ai tradizionali passaporti britannici, di colore blu scuro, al posto del disprezzato documento bordeaux comune a tutti i Paesi europei e in vigore in Gran Bretagna dal 1988. Un gesto espressione di «indipendenza e sovranità», aveva sottolineato Theresa May. Ma ora si scopre — beffardo paradosso — che i «passaporti della Brexit» saranno fatti in Francia: per la precisione dalla Gemalto, un’azienda franco-olandese che è quotata a Parigi e ad Amsterdam, ha il quartier generale in Olanda e un amministratore delegato francese. Insomma, una ditta che più europea non si può. È successo che la Gemalto abbia vinto il contratto da 490 milioni di sterline facendo un’offerta di 50 milioni più bassa dei concorrenti britannici: perché dato che Londra è ancora nella Ue, la gara doveva essere aperta a tutti e l’appalto andare all’offerta migliore. Prevedibili i malumori sulle rive del Tamigi: «Sono molto dispiaciuto — ha detto Jacob Rees-mogg, il deputato arciconservatore alfiere della Brexit pura e dura —. Sembra curioso avere un simbolo nazionale prodotto all’estero». Ma forse è la giusta nemesi. Perché se è vero che i brexitieri provano a vendere l’uscita dalla Ue come l’avvento della «Global Britain», è ancora più vero che per tanti il voto per la Brexit è stato un grido di «alziamo il ponte levatoio», un sussulto di deglobalizzazione, una nostalgia di un’inghilterra e di un mondo che non esistono più. E allora il passaporto blu «made in France» appare come il giusto contrappasso che ci rammenta dell’inestricabilità dei legami contemporanei. Parbleu!