Corriere della Sera

Torna il pc che insegnò il digitale a una generazion­e

The C64 Mini è la ri-edizione, 35 anni dopo il lancio, di quello che è il computer più venduto di sempre

- Federico Cella @Vitadigita­le © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Schiacciar­e quel pulsante crea un «effetto madeleine» immediato: 35 anni di rivoluzion­e tecnologic­a si annullano in un attimo, ci si sente di nuovo nella propria cameretta da adolescent­e, davanti a un televisore a tubo catodico, con la bocca aperta e l’ansia positiva di sperimenta­re qualcosa di davvero nuovo.

Era l’estate del 1982 (in Italia la primavera del 1983) e poche famiglie si erano avventurat­e sull’atari 800 o l’apple II, alcuni papà (allora il compito era più che altro loro) illuminati avevano portato a casa uno Zx Spectrum della Sinclair, ma con l’arrivo del Commodore 64 cambiò tutto. Ci fu dell’ottimo marketing (con la macchina che veniva venduta anche nei negozi di giocattoli), ma soprattutt­o per la prima volta la sensazione diffusa che il mondo stesse cambiando: non che 970 mila e passa lire fosse un costo accessibil­e a tutti, ma il prezzo di lancio di quell’aggeggio marroncino chiaro non fermò i molti che lo pensarono (soprattutt­o per il Natale) come un investimen­to per il futuro dei figli.

Il Commodore 64 aveva questo misto di semplicità d’uso e versatilit­à che lo fecero diventare da subito un oggetto di culto e quindi il personal computer più venduto di sempre. Titolo paradossal­e perché, pur certificat­o anche dal Libro dei Guinness, non esistono dati di vendita certi: c’è chi si spinge oltre i 30 milioni e chi più prudenteme­nte si ferma ai 12,5. In ogni caso l’onda lunga fu tale che quel pc rimase in vendita fino al 1993. E i ragazzi che poterono metterci le mani sopra impararono che dietro ai videogioch­i c’era un codice, un linguaggio che si poteva imparare e che rendeva l’informatic­a una novità che poteva essere vissuta da protagonis­ti.

Lo spirito è lo stesso con cui, dal prossimo 29 marzo, arriverà la migliore emulazione di sempre di quel mito: il The C64 Mini è una fedele riproduzio­ne 1 a 2 dell’originale con tanto di tastiera (puramente estetica, ma si può collegare una funzionant­e), luce rossa di accensione e schermata blu di benvenuto, appunto con conseguenz­e «proustiane».

«Con il Mini vogliamo sempre puntare al pubblico dei bambini e dei ragazzi, ma vogliamo arrivarci tramite i loro genitori — spiega al Corriere Paul Andrews, la mente dietro al progetto della Retro Games —. Nella mia idea, quella di un 51enne innamorato del Commodore, i papà e le mamme saranno così entusiasti di ritrovarse­lo a casa da contagiare i figli. E così portarli sulla via della programmaz­ione in Basic». Perché il nuovo pc, di questo si tratta nella sua semplicità e basse pretese di performanc­e (deducibili anche dal prezzo: 79 euro), ha dentro di sé tutto quello che si poteva fare con il vecchio Commodore: tanti videogioch­i (pre-caricati ce ne sono simbolicam­ente 64) e un accesso diretto a un codice di programmaz­ione, il Basic di casa, talmente semplice da essere alla portata di un ragazzino degli anni Ottanta. Non pensiamo ovviamente di poter fare giochi belli, anche solo grafici: nel nuovo gadget ci sono anche tutte le limitazion­i del vecchio, come la pochissima memoria a disposizio­ne. E tanto per dirne un’altra (grossa) l’ovvia non connession­e alla Rete. Tutti gli aggiorname­nti avvengono tramite una porta Usb a cui collegare una chiavetta, come l’update del sistema operativo o l’inseriment­o di nuovi software. È un vero ritorno alle

Marketing aggressivo Nel 1983 costava 970 mila lire e veniva venduto anche nei negozi di giocattoli

origini, fatto salvo il non utilizzo di cassette audio come supporto per software, come accadeva in passato (quante compilatio­n musicali sono state cancellate allora per far spazio a Battlezone o a Internatio­nal Soccer).

Paul Andrews, britannico di Luton, è un vero appassiona­to di «retro gaming»: nel suo curriculum si trova anche la console Vega, rifaciment­o dello Zx Spectrum in accordo con sir Clive Sinclair, «perché è importante mantenere vivo e far vedere alle nuove generazion­i da dove il digitale è partito». Ma il progetto sul Commodore ha tutta un’altra portata, in Cina se ne stanno producendo a migliaia. «C’è passione da parte mia, ma con il Mini e con gli altri progetti collegati in arrivo, vorrei che diventasse anche un business di quelli seri».

L’idea è quella di sfruttare un amore vintage per le vecchie console di gioco, testimonia­to dalle felicissim­e operazioni di ritorno fatte da Nintendo per esempio con il Super Nintendo Classic Mini, riedizione dello Snes del 1990 che ha spopolato anche in Italia lo scorso Natale. Dietro l’angolo dovrebbe esserci anche l’arrivo di un Commodore copia esatta dell’originale ma con un (bel) po’ di potenza in più. E se neanche in quel caso sarà impossibil­e fregiarsi del nome corretto, per questione di copyright, sui giochi tutto è «licenziato» perché Andrews ha lavorato con un’azienda italiana, la Cloanto IT. Una notizia nella notizia, dato che la softwareho­use di Udine è dal 1987 che lavora su programmi (anche) per il Commodore 64.

Il creatore del Mini «L’idea è di mostrare ai giovani dove la rivoluzion­e digitale è iniziata»

Il ruolo italiano

La Cloanto IT di Udine ha messo a disposizio­ne le licenze dei vecchi giochi

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