E ora la partita sulla rete si sposta in assemblea
La sfida delle liste, Assogestioni ago della bilancia. Le regole della governance
È un destino che si ripete da quando è stata privatizzata: prima il nocciolino duro, poi i «capitali coraggiosi» di Roberto Colaninno, quindi l’arrivo di Marco Tronchetti Provera con Olimpia a cui è seguita la gestione targata Telefonica con Telco e infine Vivendi. E ora Elliott. Per Tim non c’è pace. Una volta eccellenza per competenze e tecnologia, i continui passaggi di proprietà hanno ridotto l’ex monopolista a terreno di scorribande per fondi e raider. Con ciò che ne consegue per il Paese, che arranca rispetto ai partner europei sulla digitalizzazione e la penetrazione della fibra ottica, core business del gruppo telefonico.
La rete è sempre stato lo snodo centrale per tutti coloro che si sono avvicendati alla guida di Tim. E non solo per loro. A maggior ragione adesso che si iniziava a intravvedere un percorso di separazione in grado di accelerare lo sviluppo dell’infrastruttura. Di qui l’interesse del governo, che sta seguendo la partita con grande attenzione. Il ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, ha interesse che la scissione e la vendita della rete attraverso una quotazione in Borsa siano fatte. Da Elliott, come ha dichiarato, oppure da Vivendi. Il completamento dell’infrastruttura è fondamentale per la crescita e l’evoluzione del sistema economico. E una battaglia non è certo la strada ideale per far tornare Tim alla normalità.
Fonti vicine ad Elliott fanno sapere che il fondo Usa considera «uno schiaffo al mercato e l’ennesima dimostrazione di scarso rispetto per l’italia» la decisione di Vivendi di «ritirare» i propri rappresentanti, indipendenti o meno, dal board facendolo decadere, solo per tutelare i propri interessi. Dimissionari Arnaud de Puyfontaine, 53 anni, presidente esecutivo di Tim. Dietro Giuseppe Recchi, 53 anni, vicepresidente del gruppo telefonico Una difesa legittima che per l’ennesima volta rimette in discussione gli equilibri nel gruppo telefonico.
Fino al 4 maggio probabilmente non si muoverà nulla in Tim, come succede di solito nelle aziende alle prese con passaggi delicati. Nel frattempo Elliott dovrà rifare i conti perché il 5,7% accumulato non basta più per conquistare Tim. Sarebbero bastati probabilmente per la revoca, grazie all’appoggio degli altri fondi. Che il 4 maggio dovranno però schierarsi. La mossa di Vivendi mira proprio a dividere il fronte dei fondi, contando sul fatto che in assemblea ci saranno tre liste da votare. In questo caso i fondi dovranno decidere se votare la lista di minoranza di Assogestioni oppure quella di maggioranza di Elliott. Di certo la lista del fondo Usa cambierà. Intanto dovrà avere più nomi rispetto ai sei presentati e tra questi dovrà indicare anche il candidato per il posto di amministratore delegato, che finora aveva lasciato in sospeso.
Il piano del governo Il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, auspica lo scorporo della rete