Germania in formato gran risparmio In principio furono gli istituti comunali, poi la parsimonia divenne virtù nazionale (o forse un vizio)
Nulla più dei concetti di austerità e risparmio definiscono l’immagine contemporanea della Germania in Europa e nel mondo. The German Problem, apriva meno di un anno fa «The Economist», individuando nell’ossessione tedesca del bilancio in pareggio e della Sparpolitik un pericolo potenziale per l’economia globale. Sotto accusa di osservatori e analisti esteri non è solo il ruolo svolto da Berlino, e in particolare dall’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, nell’aver imposto il corsetto dell’austerity all’eurozona invece di assecondarne il ciclo espansivo, ma anche la linea del risparmio seguita senza eccezioni all’interno stesso del Paese, nei bilanci pubblici come in quelli delle aziende o delle famiglie. Il risultato è un surplus nei conti tedeschi di parecchie decine di miliardi, che galleggia come una mina, minaccia la congiuntura internazionale e potrebbe in ultima analisi ritorcersi contro lo stesso sistema-germania, quasi interamente votato alle esportazioni.
È una critica che scalfisce poco i tedeschi, le élite come il popolo, i quali sembrano anzi quasi sorpresi di ritrovarsi sul banco degli imputati per una cosa per loro ovvia, componente integrale del loro modo di essere. «Per la maggior parte dei tedeschi, il risparmio è un fatto naturale», spiega Robert Muschalla, curatore della mostra Sparen, Geschichte einer deutsche Tugend, risparmiare, storia di una virtù tedesca, inaugurata ieri al Deutsches Historisches Museum di Berlino.
Aperta fino al 26 agosto, è un viaggio straordinario attraverso oltre due secoli di sobrietà che hanno modellato profondamente il rapporto dei tedeschi col denaro, fino a far diventare la propensione al risparmio, l’idea ancora prima della pratica, parte dell’identità nazionale, stato d’animo e precetto di vita allo stesso tempo. «La mostra cerca di capire come e perché la parsimonia sia nel tempo assurta a virtù nazionale — spiega Raphael Gross, presidente del museo — al punto da essere interiorizzata dai tedeschi, che la pretendono da sé stessi e dagli altri».
Più di 300 oggetti, documenti originali, manifesti e filmati raccontano una storia iniziata nel 1778, con la creazione ad Amburgo della prima Sparkasse, cassa di risparmio comunale, voluta da filantropi protestanti decisi a modernizzare la beneficenza, introducendo il concetto di responsabilità personale. Sorpresa, la mostra spiega che l’idea primigenia veniva dal Sud, dall’italia del XV secolo per l’esattezza, dove i Monti di Pietà aprirono canali di microcredito ante litteram agli strati più poveri. Fu la reazione illuminista all’era della povertà di massa, presto imitata in altri Paesi, dalla Francia alla Scozia, ma che in Germania assunse modalità pedagogica. Nei comuni e nelle città-stato dove fiorirono le Sparkasse, il libretto di risparmio diventava strumento di educazione della società. Nelle parole di un borgomastro di Plauen, in Sassonia, «solo un popolo che esercita e coltiva le virtù dell’ordine, dell’operosità, della misura, dell’economia e del risparmio può vincere».
Certo non tutti erano d’accordo. Karl Marx definì il risparmio una delle «virtù cardinali del capitalismo» e le Sparkasse «la catena dorata a cui il governo tiene legata una grande parte dei lavoratori». E l’allestimento di Muchalla mette bene in evidenza l’uso del risparmio come antidoto alla lotta di classe: «Chi risparmia è contro la rivoluzione», secondo il motto dell’industriale Alfred Krupp.
Già ai suoi esordi il XX secolo confermò che il risparmio era ormai parte del codice genetico tedesco. Ai risparmi dei tedeschi attinse il finanziamento della Prima guerra mondiale e neppure il successivo disastro economico di Weimar, con l’iperinflazione e la totale perdita di valore della moneta, li convinse a cambiare abitudini: bastò la riforma monetaria di Gustav Stresemann a produrre lo Sparwunder del 1924 e la nuova crescita tumultuosa dei risparmi.
Il nazismo politicizzò la parsimonia tedesca, rovesciandola a suo favore e macchiandola con il fango dell’antisemitismo, che opponeva «il popolo che fa» agli «ebrei che arraffano», il «frutto di chi lavora» al «capitale di chi specula». «Il tuo risparmio aiuta il Führer», recita un poster della mostra. Costringendo per legge Sparkasse, assicurazioni, casse previdenziali a detenere titoli di Stato, Hitler e il suo argentiere, Hjalmar Schacht usarono segretamente il risparmio per il programma di riarmo.
La sconfitta, la divisione della Germania, l’ennesima riforma monetaria del Dopoguerra non interruppero un filo rosso che si dipana attraverso 200 anni. Sia la Repubblica Federale che la Ddr del socialismo reale coltivarono e premiarono la virtù del risparmio. La narrazione del Wirtschaftswunder, il miracolo economico occidentale, cercò con successo di conciliare consumo e sobrietà. Il resto è storia di ieri e di oggi. Ed è forse il più convincente esempio di una continuità senza soluzioni che la mostra berlinese si apra con il filmato della celebre dichiarazione di Angela Merkel, al culmine della crisi di Wall Street del 2007: «Risparmiatori e risparmiatrici, state sereni: i vostri conti sono al sicuro». Più o meno parola per parola, lo slogan di un manifesto delle Sparkasse del 1918.