L’ORDINE E IL CAOS
L’appuntamento Il Premio Pordenone Musica va ad Alfred Brendel. Che, sebbene si sia ritirato, ha accettato di fare una lectio nella città italiana. Perché, dice, la ricerca vera non ha fine
UN GRANDE PIANISTA SI RACCONTA «L’ARTE È CONTROLLO E EMOZIONI»
L a letteratura e le arti sono sempre state compagne della mia vita, ancor prima che intraprendessi un cammino spiccatamente musicale. Così è accaduto con naturalezza che l’attività di scrittore, dapprima parallela, continuasse in modo anche più spiccato una volta conclusa la carriera pianistica. Dopo sessant’anni sulle scene, è stata una scelta compiuta in assoluta libertà, mentre ancora potevo controllare appieno lo strumento e le mie facoltà di imprimergli quel che desideravo trasmettere per conto dei compositori. Decisione che non ho mai rimpianto, anzi; e sono trascorsi ormai dieci anni.
Quel che non avrei potuto immaginare è invece la molteplicità di occupazioni che sono andate affiancandosi agli interessi già coltivati: oltre alle conferenze su alcuni compositori prediletti — Mozart, Beethoven, Schubert, Liszt — mi sono dedicato a riflettere ancora sull’interpretazione, come complemento a quanto diffusamente scritto nei saggi dei decenni precedenti. Da qui si è distillato l’abbecedario di un pianista, pubblicato anche in coreano (la prima traduzione!) e cinese. Chissà cosa avranno inventato per venire incontro all’ordine alfabetico occidentale, in cui pure per le lingue più consuete ho dovuto inventare voci ad hoc: come «Klunz» o «Querflügel»! Così ho potuto dare briglia sciolta anche alla propensione per l’immaginario, ampiamente rappresentata nelle mie poesie. Lo stile aforistico di queste voci rispecchia una volontà di sintesi che trova la sua contropartita nel modo di rapportarsi con la partitura, dove bisogna analizzare le indicazioni degli autori, interpretandole alla ricerca del contenuto e del «carattere» del brano, secondo un concetto che mi è caro.
È questo equilibrio tra emozione e controllo che cerco di trasmettere anche ai giovani che vengono a chiedermi consiglio: non solo pianisti ma anche (forse soprattutto) quartetti d’archi, che dimostrano di apprezzare proprio la visuale di un musicista non condizionato dagli aspetti strumentali. Perché la ricerca non ha mai fine (sono appena uscite delle registrazioni dal vivo inedite con le Variazioni op. 24 di Brahms e il Concerto di Schumann, che sono lieto di aver trovato convincenti) in un compito essenziale dell’artista: tessere quel «velo dell’ordine» che ci aiuta a contrastare il caos di un mondo sempre più assurdo. E a questo proposito, rimando alla voce Amore del Abbecedario di un pianista. Esistono musicisti che non amano la musica? Temo di sì. Esistono musicisti che non amano il compositore? Ma certo! Il compositore è nostro padre. Un interprete che non ama suo padre e si oppone per principio ai suoi intendimenti e desideri farebbe bene a diventare egli stesso compositore. Esistono pianisti che non amano il pianoforte? Un domatore ama forse i suoi leoni? O il direttore di un circo delle pulci ama le sue pulci? Io amo il pianoforte come idea platonica, e quegli strumenti che a essa si avvicinano.
Alla fine di un concerto a Ballarat, uno dei luoghi più freddi dell’australia, spiegai al pubblico che avrei voluto avere un’ascia per fare a pezzi il pianoforte. Per inciso, Ballarat merita un viaggio. Vi si trova un magnifico esempio di architettura naïf: una casa in cui facciata, giardino e recinzione sono decorati con frammenti di teiere. L’amore per le composizioni che suoniamo può, anzi deve, superare l’ambito puramente strutturale.
Colore e calore, passione e bellezza sensuale trasformeranno l’oggetto dell’amore musicale in un essere vivente; la possibilità di afferrarlo suonando il pianoforte non dovrebbe però procurargli lividi. Dei diciassette tipi di amore il numero sedici è il più raro. Si nasconde, come l’uccello lira dell’australia, nel folto delle foreste. Ma esiste.
Per gentile concessione di Adelphi Editore e Hanser Verlag