Corriere della Sera

Il problema? Non sappiamo più formare i fuoriclass­e

- di Mario Sconcerti

Non credo possa essere subito un’altra Italia. Ci sono novità importanti, come Chiesa, il nuovo Immobile, lo stesso Insigne, ma siamo quasi dovunque nel conosciuto con in più l’handicap di arrivare in molti solo dal campionato medio, nemmeno dalle grosse squadre, mentre l’argentina è la squadra più internazio­nale che ci sia. Non ho sentito in questi mesi nessuna risposta alle vere domande che ci hanno eliminato: perché non abbiamo più grandi giocatori? Essendo il calcio sempre un aspetto profondo del paese che lo genera, se da vent’anni non portiamo un fuoriclass­e significa che qualcosa è cambiato nelle abitudini del paese. Gli stranieri, il modo di crescere bambini e ragazzi ormai in balia di genitori manager; la mancanza di tanti piccoli campi sparsi dovunque dove ricreare gli spazi stretti della strada. La qualificaz­ione degli insegnanti. Parliamo solo del nuovo c.t. che dovrà accontenta­re gli sponsor, quindi avere un grande nome. Ma non siamo in grado di costruire giocatori. Parliamo di centri federali come se ogni club non lo fosse. E non avesse per primo l’interesse e la specializz­azione per far crescere i ragazzi. Parliamo di tattiche, come se ce ne fosse una universale e ogni partita fosse uguale. Non vedo una novità forte, una visione per restituire qualità al nostro calcio. C’è un piano per il nuovo c.t., ma non ne sento uno per ristabilir­e qualità di gioco, il controllo dello spazio stretto, la corsa da quattrocen­tisti, l’agilità di un dribbling, tutto quello che fa la sapienza di un bambino. Di Biagio invita a divertirsi, ma nessuno si diverte quando l’avversario è sempre più forte. Il problema è quello: perché non lo siamo più? Qualcuno se lo sta chiedendo? In fondo è questo mistero che rende bellissima la partita di stasera.

P.S. Per Arrigo Sacchi. Non è vero che gli ultimi italiani con mentalità offensiva sono stati gli eserciti romani. È solo che per i 1600 anni successivi non c’è stata l’italia. Mussolini attaccò poi l’albania e la Grecia, ma perdemmo in contropied­e.

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