Corriere della Sera

UN’IPOTECA SUL FUTURO

Dopo la vittoria monca un’ipoteca sul futuro

- di Massimo Franco

La frattura nel centrodest­ra è l’epilogo di una vittoria monca alle elezioni del 4 marzo; e della difficoltà a ricalibrar­e i rapporti di potere tra Forza Italia e Lega. Lo strappo con il quale Matteo Salvini ha disdetto il candidato di Silvio Berlusconi alla presidenza del Senato vuole essere la certificaz­ione del primato leghista nella coalizione.

E sembra archiviare di fatto un’alleanza durata venticinqu­e anni.

aprirsi sotto i piedi del centrodest­ra: «A Berlusconi avevano dato la certezza dell’elezione di Paolo Romani — racconta Salvini —. Ma io gli ho detto che non c’era nessuna sicurezza. Domani (oggi, ndr) bastano 132 voti, e a quel punto noi saremmo dipesi dagli umori del Pd o persino di Pietro Grasso». Poi, Salvini riprende con foga: «Pensate se qualcuno avesse tirato fuori il nome della Bonino, provate a pensarci… Secondo voi, chi avrebbero votato il Pd e i 5 Stelle?». Coloro che ascoltano Salvini dicono di non sapere che cosa il leader azzurro abbia risposto. Ma non occorre attendere troppo: a stretto giro arriva la nota furiosa di FI. Parte una lunga serata che diventa notte di trattative. Il segretario leghista riceve la telefonata di Luigi Di Maio subito Ma la mossa di Salvini è stata facilitata dall’ostinazion­e con la quale Berlusconi ha deciso di insistere fino all’ultimo su una candidatur­a controvers­a come quella di Paolo Romani. La reazione dell’ex premier fa capire che, nella sua ottica, o il centrodest­ra è guidato da lui o non esiste. Al momento vede la Lega al comando, e per questo da ieri sera forse non esiste più. L’atteggiame­nto del Movimento 5 Stelle, sprezzante nei confronti di Berlusconi e Romani, è stato il detonatore di una bomba a orologeria piazzata dentro una coalizione già infragilit­a. Il risultato è di inchiodare Salvini sull’asse col Movimento di Luigi Di Maio; ma anche di ribadire quali sono i partiti che ritengono di dettare l’agenda in questo inizio di legislatur­a: al punto che c’è da chiedersi se la rottura, in apparenza irrimediab­ile, si rifletterà su un Pd percorso da una conflittua­lità che lo condanna alla marginalit­à. Vorrebbe dire che il trasversal­ismo dei 5 Stelle riesce a crepare i gusci sia della destra che della sinistra. È possibile che nelle prossime ore gli scenari subiscano un’evoluzione imprevedib­ile; che stamattina, quando si voterà per i presidenti, si siano delineate nuove

Non può godere dell’«insindacab­ilità» concessagl­i dal Senato Roberto Calderoli, che nel 2013 insultò l’allora ministro dell’integrazio­ne Cecilia Kyenge, chiamandol­a «orango». Lo ha deciso la Corte costituzio­nale, accogliend­o il ricorso del Tribunale di Bergamo che aveva sollevato il conflitto di attribuzio­ne nei confronti del Senato, in relazione alla deliberazi­one con cui l’assemblea di Palazzo Madama aveva affermato che le opinioni del senatore erano «espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni» e, dunque, «insindacab­ili». Kyenge — queste le parole del senatore — «sarebbe un ottimo ministro, ma dovrebbe esserlo in Congo non in Italia»; Calderoli aveva poi attribuito «sembianze di orango» alla ministra. Le opinioni espresse da Calderoli, rileva la Consulta, non hanno «alcun nesso funzionale con l’esercizio dell’attività parlamenta­re».

d Pensate se qualcuno nelle successive votazioni avesse tirato fuori il nome della Bonino, secondo voi per chi avrebbero votato Pd e 5 Stelle?

alleanze o siano spuntati altri schemi. Ma la confusione dice che in realtà il 4 marzo ha restituito una lavagna priva di punti di riferiment­o. Comunque finisca, l’elezione dei vertici di Senato e Camera promette di fotografar­e una legislatur­a segnata da una precarietà superiore a quella del 2013. Allora, un partito aveva quasi vinto: il Pd. Si sapeva che in qualche modo avrebbe governato. E l’elezione di due alleati ai vertici del Parlamento prefigurav­a un’intesa col M5S, che naufragò per l’autoesclus­ione dei seguaci di Beppe Grillo. Stavolta, invece, non si sa chi sarà maggioranz­a e chi opposizion­e; e questo complica tutto. Sia il centrodest­ra, sia il Pd sono divisi al proprio interno sul rapporto col M5S. Lo schema di un Salvini premiato dal voto prevede la nascita di una nuova destra guidata dalla Lega; quello dei 5 Stelle, di un centrosini­stra atipico e trasversal­e, a vocazione governativ­a, destinato a svuotare il Pd. Se questa è la trama, c’è da giurare che le vittime predestina­te faranno di tutto per cambiarla. La domanda è se ci riuscirann­o. La pervicacia di Berlusconi su Romani ha cercato di smascherar­e le manovre del leader del Carroccio. Voleva costringer­lo a scegliere tra la coalizione con FI e il dialogo con Di Maio, scommetten­do sull’unità del centrodest­ra. Calcolo abile ma azzardato. Nel momento in cui Salvini annuncia di essere pronto a votare un esponente di FI diverso da Romani, in sintonia con Di Maio, mira a disarmare Berlusconi. E conferma un accordo che dovrebbe portare all’elezione di un esponente dei 5 Stelle alla Camera. Il capitolo successivo sarà il governo: un rompicapo ancora più complesso, dominato dal sospetto che l’alleanza in incubazion­e tra M5S e Lega abbia come approdo non la stabilità ma, di nuovo, le urne.

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Il bacio tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio protagonis­ta del murale comparso ieri mattina a Roma in via del Collegio Capranica, a metà strada tra la Camera e il Senato, e firmato dall’artista di strada palermitan­o...
Il murale del bacio (poi cancellato) Il bacio tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio protagonis­ta del murale comparso ieri mattina a Roma in via del Collegio Capranica, a metà strada tra la Camera e il Senato, e firmato dall’artista di strada palermitan­o...

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