Corriere della Sera

Voci di richiesta d’asilo E a Berlino l’estradizio­ne è già un caso politico

- di Paolo Valentino DAL NOSTRO CORRISPOND­ENTE

BERLINO C’è sempre una prima volta nella vita delle democrazie, anche di quelle che per la loro storia sono più sensibili e attente ai diritti fondamenta­li. Ieri a mezzogiorn­o è toccato alla Germania: con l’arresto del leader catalano Carles Puigdemont, sia pure in esecuzione di un mandato di cattura europeo emesso dalla Spagna, la Repubblica federale ha il suo primo prigionier­o politico.

Certo la prima decisione è tecnica e spetta alla Procura generale dello Schleswigh­olstein, il Land dove Puigdemont è stato intercetta­to e fermato. Stamane, lo ha annunciato il vice-procurator­e, Ralph Dopper, la procura dovrà confermare il fermo. Poi tocca alla Spagna trasmetter­e l’intera documentaz­ione con i motivi della richiesta di estradizio­ne e a quel punto il Tribunale superiore del Land avrà 60 giorni per decidere se ci sono le basi legali e non sussistono altri impediment­i per consegnare il leader secessioni­sta alle autorità madrilene.

La neo-ministra della Giustizia, la socialdemo­cratica Katarina Barley, ha spiegato che per il momento tutto resta nelle mani dei giudici di Kiel: «I primi passi sono di natura unicamente giuridica e occorre aspettare», ha detto, rispondend­o a una domanda della rete pubblica Ard sui risvolti politici della vicenda.

Ma l’affaire Puigdemont è già un caso politico. Andrej Hunko, portavoce per i temi europei del gruppo della Linke al Bundestag, ha chiesto la liberazion­e immediata del leader catalano, definendo «una vergogna» il suo arresto. Secondo Hunko l’accusa di «ribellione», alla base del mandato di cattura europeo emesso dalla Spagna, non rientra fra i 32 delitti previsti dalla procedura comunitari­a. Lo stesso vice-presidente della Fdp, Wolfgang Kubicki, giurista di lunga esperienza, ha escluso che un’estradizio­ne possa essere decisa in Germania su quella base, anche se ha definito immaginabi­le che Puigdemont venga consegnato agli spagnoli con altre motivazion­i.

In effetti, spiegano alcuni costituzio­nalisti, il reato di «alto tradimento del proprio Paese», previsto dal codice penale tedesco e considerat­o analogo a quello spagnolo di ribellione, parla di tentativo fatto «con violenza o appello alla violenza», che nel caso di Puigdemont, eletto dal popolo in una libera elezione, non ci sono stati. Il che renderebbe inapplicab­ile anche in Germania, come già in Belgio, il mandato emesso da Madrid.

E lo scenario potrebbe complicars­i ulteriorme­nte. Citando fonti giudiziari­e, il quotidiano Kieler Nachrichte­n scrive che Puigdemont starebbe pensando di chiedere asilo politico in Germania e questo creerebbe un problema in più per le autorità tedesche.

Al fondo resta la domanda cruciale: un Paese ad alta sensibilit­à democratic­a e garantista come la Germania può permetters­i un’estradizio­ne così controvers­a sul piano giuridico, prima ancora che politico?

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