Corriere della Sera

L’OCCIDENTE SI RITROVA (IN DIFESA)

- di Franco Venturini

Brutte, anzi pessime notizie per il neoeletto Vladimir Putin. Non tanto per le massicce espulsioni di diplomatic­i russi decise ieri in Occidente, misura che il Cremlino restituirà colpo su colpo e che viene ormai considerat­a tiepida nei litigi internazio­nali. A colpire la strategia della Russia, piuttosto, sono le motivazion­i politiche che hanno indotto i più importanti Paesi europei ad agire assieme agli Stati Uniti dopo la lunga serie di disaccordi registrati da quando Donald Trump è alla Casa Bianca. Il più fondamenta­le degli obiettivi strategici russo-sovietici è sempre stato quello di dividere l’occidente, di indebolire i legami transatlan­tici, e a Putin deve essere parso, nell’ultimo anno, che le cose andassero per il verso giusto. L’ambiente, le spese per la difesa, il dollaro basso, Gerusalemm­e capitale senza piano di pace, l’accordo nucleare con l’iran, i dazi ancora a mezz’aria, tutto sembrava agitare l’atlantico come mai prima. Poi l’avvelename­nto dell’ex spia Skripal e di sua figlia, il 4 marzo a Salisbury, ha invertito la tendenza. Perché occorreva essere solidali con la Gran Bretagna. Ma anche perché la parte più qualifican­te di una Europa comunque divisa (16 su 27 hanno varato misure punitive) aveva colto l’opportunit­à politica che le si offriva. Nell’ambito europeo, prima di tutto. Dubitiamo che i 16 siano stati tutti convinti dalle prove offerte da Teresa May sulla colpevolez­za russa, ma una ferma solidariet­à con Londra era comunque necessaria.

Angela Merkel è stata la prima a comprender­lo. In parallelo alle trattative sulla Brexit, ha ricordato Berlino, le due parti della Manica hanno concordato sulla necessità di rimanere uniti in tema di sicurezza. Salisbury era un test decisivo, non si poteva deludere Londra. La Francia è allora salita sul carro, anche Roma ha parlato, è arrivata la dichiarazi­one comune transatlan­tica e al Consiglio europeo si è deciso di agire.

La seconda opportunit­à politica riguarda Trump e i suoi rapporti con l’europa. Protagonis­ta, qui, è Emmanuel Macron. Il capo dell’eliseo, durante la lunga paralisi elettorale della Germania, aveva già ripetutame­nte indossato i panni del leader europeo. Ma ora Macron punta ancora più in alto: vuole fare il mediatore tra Europa e USA. È stato Macron a coinvolger­e Trump nella dichiarazi­one quadripart­ita su Salisbury, sfruttando il suo rapporto con il capo della Casa Bianca. È stato Macron, peraltro con scarsi risultati, a dire agli iraniani che se vogliono salvare il patto nucleare debbono cedere sui missili balistici, sperando che il 12 maggio gli Usa non si ritirino dall’accordo se gli europei otterranno dagli iraniani una concession­e che possa essere apprezzata dalla base elettorale del Presidente.

Il traguardo inseguito da Macron sembra ancora più difficile da raggiunger­e dopo che a Washington sono stati nominati i “falchi” Pompeo e Bolton, ma il capo dell’eliseo ha già mostrato di essere tenace nelle sue ambizioni. E dopo ieri al tentativo di ricucire l’occidente non dovrebbero mancare né l’appoggio di Berlino né quello di Londra. E forse nemmeno quello di Varsavia.

L’italia rischia invece di andare contromano, se il futuribile nuovo governo pretenderà di essere amico tanto di Trump quanto di Putin. Non siamo a tanto: due diplomatic­i russi sono stati espulsi ieri anche da Roma, con una leggera diversità rispetto ai quattro allontanat­i da Germania e Francia. Forse per il diverso numero di funzionari russi accreditat­i in ogni capitale. Di sicuro perché in Europa ogni Stato resta sovrano e può dosare la sua politica. A condizione di non scivolare nell’ambiguità.

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