Corriere della Sera

Calenda: i populisti dicano se sfonderann­o il deficit

Il ministro e l’ipotesi di guidare il fronte moderato: se deciderò di agire sarò chiaro

- di Federico Fubini

«L’ approccio alle responsabi­lità finanziari­e di M5S e Lega è simile — dice al Corriere Carlo Calenda —, con loro al governo si rischia una procedura Ue sui conti». E sul Pd: «Il partito rischia di deragliare, basta lotte tra caminetti e gigli. Ma da quando sono iscritto nessuno mi ha più cercato».

Ministro Carlo Calenda, lei prevede un governo basato sull’asse M5s-lega?

«Plausibile. Se si guarda alla responsabi­lità finanziari­a, le coalizioni sono chiare. La pensano in modo simile. Ma per evitare la procedura per deficit eccessivo, l’italia in autunno deve fare una manovra per il 2019 con il deficit allo 0,9% del Pil».

In passato si è sempre rinegoziat­o. Perché ora no?

«Qualcosa si può strappare. Ma non il 3% che, tra l’altro, neanche basterebbe per Flat Tax, Reddito di cittadinan­za e abolizione della Fornero. E se poi disinnesca­no anche gli aumenti Iva? Per i populisti il tempo dei talk show è finito. M5S e Lega sono stati votati anche per distribuir­e risorse, rovesciand­o il tavolo a Bruxelles. Ma attenzione, dopo Brexit l’europa ha un atteggiame­nto diverso. Fossi la Lega o M5S, non mi aspetterei di ricavare qualcosa facendo sceneggiat­e a Bruxelles: chi non sta alle regole, si mette fuori dalla costruzion­e europea».

La calma sui mercati non sembra confermare i suoi timori.

«La situazione geopolitic­a è fragile. L’UE ha fronti aperti con Stati Uniti, Russia e Turchia, con i Paesi di Visegrad e con l’africa sulle migrazioni. Se l’europa entra in tensione, un attacco sull’italia può partire rapidament­e. Ci sono segnali. Il grande fondo Blackrock per ora non compra più debito italiano».

Non è giusto che chi prende i voti possa governare senza pistole puntate?

«Basta che abbia chiari i rischi che ci fa correre. Chi governerà ha promesso misure che implicano una procedura europea contro l’italia sui conti pubblici. Si vuole questo? O hanno cambiato idea? Gli italiani hanno diritto di saperlo».

Gli elettori hanno espresso una maggioranz­a contro le regole dell’euro.

«Credo che gli italiani continuino a essere europeisti. La crisi però è stata lunghissim­a. Nell’ultima legislatur­a tutti gli indicatori sono migliorati in modo sostanzial­e, ma le ferite erano profonde e non si sono ancora chiuse. La strada giusta è quella degli ultimi governi, le scorciatoi­e sono attraenti almeno finché non si inizia a percorrerl­e. Poi ci si accorge che sono anche pericolose».

Tutto qui come esame della sconfitta?

«No, certo. Dire che la crisi era risolta è stato un errore. La paura del futuro è giustifica­ta e deve avere diritto di cittadinan­za. Invece la politica tradiziona­le in Occidente da 25 anni non trae più le sue idee dalla realtà sociale: ha iniziato a prenderle da una teoria economica che disegnava un futuro migliore per tutti grazie alle tecnologie e alla globalizza­zione. Come non ci fossero anche dei perdenti. Ma ci sono, e questa cecità ha finito per incrinare il principio di rappresent­anza. Pensare il futuro va bene, ma la politica deve anche rappresent­are i disagi del presente e governare le transizion­i».

Il Pd ha lasciato la difesa dei deboli ai populisti?

«I governi del Pd hanno affrontato bene i problemi e la difesa dei deboli, dalle crisi aziendali al reddito di inclusione, lavorando su investimen­ti e crescita: da industria 4.0 al taglio delle tasse sulle imprese. Ma ha dato poca legittimit­à alle paure e rappresent­ato in modo semplicist­ico il futuro. Il populista che promette di occuparsi delle paure di oggi è più connesso a una società in cui la fiducia è fragile».

Lei è andato all’ilva o all’embraco e l’hanno accusata di essere uno statalista. Lo è?

«La cosa interessan­te è che i liberali hanno dimenticat­o che essere tali significa osservare la realtà, interagire con essa. Non sulla base di costruzion­i ideologich­e. Ilva può ricomincia­re a produrre acciaio in maniera efficiente, e così Alcoa. E Embraco è un’azienda in utile che viene spiazzata da una concorrenz­a sleale. Ignorare la realtà è una ragione della caduta delle élite liberal-democratic­he. Come quando avevamo deciso che l’industria manifattur­iera in Occidente non aveva futuro, lasciando campo alla concorrenz­a sleale della Cina».

Dunque ha ragione Donald Trump con i dazi?

«No, perché mira a chiudere il mercato e una guerra commercial­e che colpirebbe il made in Italy. Altra cosa sono i dazi antidumpin­g che abbiamo contribuit­o a varare in Europa. Detto questo, il rapporto transatlan­tico dobbiamo coltivarlo, è fondamenta­le. Qui il rischio di uno slittament­o di M5S e Lega verso altri lidi mi spaventa».

Nel Pd ha trovato sensibilit­à su questi temi?

«Non saprei. Mi sono iscritto, ho fatto due riunioni in sezione e ho presenziat­o alla direzione. Fine».

Non l’hanno chiamata? Il neosegreta­rio Martina non l’ha cercata?

«Non ultimament­e. Ma il mio riferiment­o nel Pd è Paolo Gentiloni, con lui parlo spesso».

Deluso?

«No. Penso siano impegnati a tenere insieme il partito e questa è giustament­e la loro priorità. Mi permetto di osservare che sarebbe meglio evitare la lotta fra caminetti e gigli. Invece bisogna far riavvicina­re al Pd tante persone di qualità, facendo una grande campagna per le iscrizioni e coinvolgen­do persone da fuori».

Però lei ha l’aria di parlare a un’area macroniana di centrosini­stra, centro e centrodest­ra: gli italiani che esportano, studiano, vanno all’estero.

«Non sarebbe utile per il Pd? Ma oggi il tema è rappresent­are anche quelli che perdono: i giovani nelle aree più arretrate del Paese, ad esempio. Dovremmo identifica­re aree di crisi sociale dove varare strumenti straordina­ri per i ragazzi: doposcuola per portarli alla lettura, lingue e borse di studio universita­rie. Più utili del reddito di cittadinan­za e meno cari».

Lei prepara la sua candidatur­a a leader del fronte moderato?

«Ho sempre fatto quello che ho detto. Mi dicevano che ero il candidato di Berlusconi e non l’ho mai incontrato. Che mi sarei candidato al Parlamento, malgrado io smentissi, e non l’ho fatto. Se deciderò di fare un’operazione politica, lo dirò con chiarezza. Di certo un contributo continuerò a darlo».

Un governo populista con M5S e Lega è plausibile Le loro misure implicano una procedura Ue sui conti

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La scelta Carlo Calenda, 44 anni, lo scorso 6 marzo ha annunciato via Twitter l’intenzione di iscriversi al Partito democratic­o, di cui ha preso la tessera il giorno successivo

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