Corriere della Sera

Barcellona e l’etica tedesca

- di Paolo Valentino

Èuna classica contraddiz­ione weberiana, tra etica dei valori e etica della responsabi­lità, quella che si trova a fronteggia­re la Germania, con l’arresto del leader catalano Carles Puigdemont, in esecuzione di un mandato di cattura europeo emesso dalle autorità spagnole.

La Repubblica federale, come tutti i Paesi della Ue, ha sottoscrit­to un meccanismo basato sulla reciproca fiducia, in grado di rendere più semplici le procedure di estradizio­ne all’interno dello spazio comunitari­o. Come spiega oggi nell’intervista al Corriere il professor Martin Heger, il mandato di cattura europeo implica che ogni Paese si fidi dello Stato di diritto di un altro e viceversa. Per questo, quando viene emesso per una delle 32 categorie di reati gravi previste, comporta una procedura squisitame­nte giuridica, priva cioè di influenze politiche.

Responsabi­lità dei giudici dello Schleswig-holstein, il Land dove il leader secessioni­sta è stato intercetta­to su segnalazio­ne dei servizi spagnoli e fermato, è dunque di verificare che i reati contestati dai colleghi madrileni a Puigdemont siano compatibil­i con quelli previsti dal codice penale tedesco e se del caso concedere l’estradizio­ne.

È poco probabile però, secondo gli esperti, che questa venga decisa sulla base dell’accusa di ribellione, visto che il reato analogo in Germania, quello di «alto tradimento», è legato indissolub­ilmente alla violenza o all’incitazion­e alla violenza. Puigdemont non ha mai lanciato alcun appello alle armi, a meno di non considerar­e tale l’appello al voto. È invece più verosimile, ancorché ugualmente controvers­o, che l’accusa buona per estradarlo si riveli alla fine quella di appropriaz­ione indebita di denaro pubblico, usato dall’ex presidente catalano per organizzar­e una consultazi­one

considerat­a illegale e in violazione dell’ordine costituzio­nale spagnolo.

Fin qui l’etica della responsabi­lità, appunto, cui difficilme­nte la Germania potrà sottrarsi nel rispetto delle regole europee liberament­e sottoscrit­te e della fiducia dovuta ai partner. «La Spagna è uno Stato di diritto», ha ribadito ieri il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert.

I valori sono un’altra cosa, specialmen­te per un Paese ad altissima sensibilit­à democratic­a e garantista come in ragione della sua storia è la Repubblica Federale. Forse con una punta di esagerazio­ne, la Sueddeutsc­he Zeitung ha toccato il nervo scoperto di questa vicenda, definendo Puigdemont il «primo prigionier­o politico» della Germania.

Sarà possibile per il governo tedesco ignorare questa semplice verità e trincerars­i dietro la procedura tecnica? È

giusto considerar­e Puigdemont alla stregua di un terrorista o di un ladro, perché di questo si tratta, consegnand­olo nelle braccia di un sistema che potrebbe condannarl­o a 30 anni di carcere? «Il mandato di cattura europeo non è uno strumento per regolare questioni di politica interna con l’aiuto di pubblici ministeri stranieri», commenta Wolfgang Janisch sul giornale bavarese. Né la fiducia reciproca su cui si fonda l’intero costrutto può essere cieca, ignorando il sospetto di persecuzio­ne politica che accompagna l’azione delle autorità centrali spagnole contro i leader del movimento catalano. Perché se è vero che la secessione catalana non è legale, né costituzio­nale, è difficile per la Germania come per ogni altro Paese accettare che Madrid tenti di sconfigger­e un movimento di massa democratic­o solo con la forza o il codice pe- nale esteso all’intero territorio comunitari­o grazie al mandato di cattura europeo. Quanto sia sanabile la contraddiz­ione weberiana tra responsabi­lità e principi è impossibil­e dire. Forse non lo è. E questo pone il nuovo governo tedesco in una posizione molto complicata, tanto più alla luce degli ottimi rapporti da sempre intercorsi tra Angela Merkel e Mariano Rajoy. Il caso è già politico. I Verdi suggerisco­no che Berlino promuova un negoziato tra il governo di Madrid e i leader catalani, affidando la mediazione alla Commission­e europea.

Una cosa certa. Nella sua improbabil­ità, Puigdemont ha internazio­nalizzato la vicenda catalana, confermand­o che nella Ue non esistono più crisi locali, che ogni battito d’ali provoca ripercussi­oni profonde e che farebbe bene l’europa a prenderne atto.

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