Via ai capigruppo. Alta tensione tra i dem
Gelmini e Bernini per FI, Giorgetti e Centinaio per la Lega. Pd diviso sui renziani Guerini e Marcucci
L’elezione dei capigruppo di Camera e Senato, oggi pomeriggio, è il primo test per valutare se il Pd abbia davvero voltato pagina dopo la sconfitta, o se invece Matteo Renzi tenga ancora in scacco il partito. Il reggente Maurizio Martina davanti alla direzione nazionale aveva promesso collegialità, con tanto di comunicato nero su bianco. E ieri sera al Tg1 ha descritto il Pd come una «squadra plurale», che ha bisogno di «costruire tutti insieme proposte unitarie». Ma dietro le parole scandite per l’opinione pubblica ci sono tensioni fortissime e trattative che andranno avanti fino all’ultimo minuto.
L’ex premier vuole due capigruppo renziani su due e non intende mollare la presa. Come ha avvertito su La Stampa il presidente Matteo Orfini, «o si trova un accordo sulla linea politica o è inevitabile una discussione anche sugli interpreti che andranno a riportarla al Colle». Tradotto, Renzi non si fida che dei suoi fedelissimi. Teme che i dialoganti del suo partito cedano alle sirene del M5S e, forte della maggioranza nei gruppi, è pronto alla conta pur di far eleggere Lorenzo Guerini alla Camera e Andrea Marcucci al Senato. «Non credo possano essere bocciati perché renziani», li blinda Ettore Rosato.
Nel giro di telefonate al vertice che hanno coinvolto Renzi, Franceschini, Delrio, Emiliano, Gentiloni e Orlando, quest’ultimo ha detto di non avere preclusioni sui nomi, ma ha alzato i toni contro la pretesa di eleggere due renziani doc. «La combinazione in piena continuità con il renzismo non ci sta bene», è il monito del Guardasigilli. L’umore di Michele Emiliano lo rivela Gero Grassi, uno degli ex deputati vicini al presidente della Puglia che sono rimasti fuori dal Parlamento: «Sui capigruppo c’è la guerra. Se si va allo scontro Renzi sistema tutti e due i suoi, perché il colpo grosso lo ha fatto sulle liste e ha i numeri dalla sua parte». E Francesco Boccia avverte: «Partire con uno strappo nei gruppi sarebbe un inizio nefasto, se si usano i muscoli si autorizzano anche gli altri a usare i muscoli».
Ma il «senatore di Scandicci» ha messo su il suo quartier generale tra Palazzo Madama e Palazzo Giustiniani e vuole un amico fidato al gruppo. E dunque il nome che balla è quello di Guerini, che pure gode di un ampio gradimento tra i deputati. Se la mediazione di Martina avrà successo, alla guida dei deputati potrebbe andare Graziano Delrio, anche se il ministro va dicendo di non essere disponibile. Il reggente non vuole scontri e al fronte antirenziano
La mediazione
Martina prova a mediare e per guidare la Camera si fa anche il nome di Delrio No a uno strappo. Se si usano i muscoli si autorizzano anche gli altri a usarli
Francesco Boccia
che invoca equilibrio tra le correnti ha proposto uno scambio: due vicepresidenze di Camera e Senato, destinate a un orlandiano e un franceschiniano. Per Stefano Ceccanti la spunterà Renzi, perché «non c’è una linea politica alternativa a quella dell’opposizione da marcare con una candidatura autonoma».
Negli altri partiti la decisione è stata meno sofferta. I pentastellati hanno già scelto Giulia Grillo alla Camera e Danilo Toninelli al Senato. La Lega punta su Giancarlo Giorgetti a Montecitorio e Gian Marco Centinaio a Palazzo Madama. In Forza Italia, Renato Brunetta lascia il posto a Maristella Gelmini e Paolo Romani ad Anna Maria Bernini. Per lei Maurizio Gasparri ha fatto un passo indietro: «Si è proposta in modo costruttivo e collegiale, sono pronto a collaborare». Fratelli d’italia indicherà due capigruppo pro tempore, Fabio Rampelli (Camera) e Stefano Bertacco (Senato). E se i 14 deputati di Leu otterranno la deroga per formare un gruppo autonomo il presidente sarà Federico Fornaro.