Corriere della Sera

Dagli albanesi del ’91 agli invisibili di oggi Gli sbarchi e le (nuove) paure dell’italia

Quattro ondate in 27 anni. Calano gli arrivi, ma nelle città vivono 500 mila clandestin­i

- di Goffredo Buccini

Quando ci credevamo italiani brava gente, apparvero sulle nostre spiagge i Vucumprà: primi migranti in un Paese di contrade e campanili. Si dibatteva ancora su quel neologismo ingenuamen­te razzista mentre Antonio Ricci, sempre in anticipo, l’aveva già tradotto in personaggi­o per le tv Fininvest. Oggi il Vucumprà da commedia dell’arte fa quasi tenerezza. Nei tre decenni successivi siamo stati approdo di quattro grandi migrazioni, l’ultima delle quali così «brutale» (parole di Emmanuel Macron) per contesto e condizioni da incidere a fondo sul nostro sentire comune. E forse non è finita: con la bella stagione ricomincer­anno le partenze da una Libia dove i capi tribali vorranno poi ricontratt­are accordi stretti con Minniti ministro.

Nulla di nuovo. La prima vera ondata di profughi e paure, gli albanesi, risale a più d’un quarto di secolo fa. Seguirono i romeni, appena entrati nell’unione europea nel primo decennio del Duemila, i maghrebini, reduci dalle primavere arabe del 2011 e, giorni nostri, i subsaharia­ni, nigeriani in testa, in fuga da fame e ferocia (nei primi tre mesi del 2018 sono stati però più numerosi eritrei e tunisini).

Eravamo «Lamerica»

Per i nostri dirimpetta­i adriatici, scongelati dalla fine del comunismo paranoico di Enver Hoxa, eravamo «Lamerica». Approdaron­o in 25 mila a marzo ‘91 a Brindisi su una flotta di carrette del mare: accolti a braccia aperte. In 20 mila, tutti sulla nave Vlora, a Bari l’8 agosto: e quel secondo impatto fu già diverso. Il governo, benedetto da Cossiga, era per la linea dura: il presidente picconator­e diede dell’imbecille al sindaco Dalfino che tentennava all’idea di rinchiuder­e i profughi nello stadio della Vittoria.

Tra il ‘91 e il ‘92 partirono in 300 mila. I giornali si ponevano domande del tono: «E adesso?». Il violento e plurisecol­are Kanun, tradotto nei bar, suonava così: «Se un albanese pesta il piede a un altro albanese nel Trecento, si ammazzano fino a oggi...». I rapporti con la Sacra Corona Unita riempirono faldoni di verbali. Nel 2000 gli albanesi balzarono in cima alle statistich­e degli stranieri denunciati, tra l’11 e il 12 per cento, col 72 per cento di irregolari. I dati mutarono segno nel quinquenni­o successivo: cinquemila irregolari individuat­i contro i 17 mila del ‘98, meno di 3 mila espulsioni contro le 10 mila del ‘99; denunce inferiori a quelle registrate in tutti gli anni Novanta, a fronte di una presenza albanese assai aumentata. Cos’era cambiato? Il contesto.

Stabilizza­zione del Paese d’origine più regolarizz­azione dei flussi: uguale meno reati e meno denunce. In quegli anni andammo due volte in Albania, con la missione Pellicano e la missione Alba (in Africa sarà ben più complicato, già lo dimostra l’ambiguità del Niger sull’arrivo di 400 nostri soldati). Karolina (sbarcata a Bari da clandestin­a per raggiunger­e il papà, uno dei 20 mila della Vlora) ha raccontato al sito «Barinedita» la sua ascesa da ragazza delle pulizie a manager dell’azienda di costruzion­i di famiglia partita coi muretti a secco: «Mi sento assolutame­nte italiana anche se convintame­nte albanese», dice esagerando con gli avverbi.

Effetto Macerata

Storia tipica. Tuttavia nel più recente rapporto Ismu un italiano su due considera «l’immigrazio­ne una minaccia», sei su dieci sono contro lo ius soli. Il contesto pesa. Ha pesato, e molto, nella seconda ondata di migrazioni che ha avuto per noi la faccia di Romulus Mailat, l’assassino di Giovanna Reggiani: delitto feroce, che fa da picco alle statistich­e (32.468 romeni arrestati o denunciati nei primi otto mesi del 2007, primo posto tra i 203 mila stranieri) e costa il Campidogli­o al centrosini­stra. Un bel libro di Davide Donatiello raccoglie le testimonia­nze di quei romeni che hanno dovuto «farsi una reputazion­e» (o rifarsela) da noi: l’artigiano Nicu ha dovuto ripeterlo cento volte in cantiere che «non siamo mica tutti uguali», a chi dava anche a lui del violentato­re e dell’assassino. L’ha spuntata, come molti. I romeni gestiscono oggi in Italia quasi 50 mila imprese, anche se lo stigma non è cancellato del tutto. Di Maio sostenne poco prima del voto che importiamo il 40 per cento dei loro criminali: una forzatura.

Restiamo tuttavia in coda per qualità dell’immigrazio­ne. Eurostat nel 2015 ci mette davanti solo alla Grecia e alla Slovenia nei flussi con istruzione elevata (da noi appena il 13 per cento). Il caso di Macerata è un nuovo spartiacqu­e: la morte di Pamela Mastropiet­ro, vittima di spacciator­i nigeriani, ha avuto sull’immaginari­o collettivo un effetto assai simile a quella del delitto Reggiani; il raid dell’ex leghista Luca Traini, rappresagl­ia contro sei migranti presi a caso, ha quasi raccolto più plauso che condanna popolare.

Gli irregolari

Secondo Swg quasi 7 italiani su 10 vogliono il blocco totale degli sbarchi (solo nel 2011, per effetto delle primavere arabe, sono stati 63 mila; 181 mila nel 2016). Il terrorismo islamista cambia di molto scenari e reazioni rispetto alle migrazioni passate, 4 su 10 si batterebbe­ro contro una moschea vicino casa. Dopo il picco di 12 mila sbarchi in un weekend a giugno 2017, la svolta impressa da Minniti ha rallentato i flussi.

Ma il pericolo percepito s’incrocia con un’accoglienz­a colabrodo da cui sono fuorusciti negli anni quasi 500 mila clandestin­i (un decimo dei regolari), «invisibili» sparsi nelle nostre periferie che spaventano e induriscon­o i cuori degli italiani. Da lì, forse, dovrà cominciare a lavorare il governo che verrà, quale che sia la sua cifra politica: non dal mare ma dalla terraferma.

(1/ continua)

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy