Corriere della Sera

Il giallo dei rospi avvelenati

- (Foto Cavicchi/ Lapresse) Lilina Golia

È una corsa contro il tempo che ricorda le mobilitazi­oni sulle spiagge del Mediterran­eo e lungo i litorali atlantici per salvare foche o uccelli dalla marea nera di una petroliera con lo scafo squarciato. Qui l’acqua color pece è quella di un micro laghetto tra i boschi e le colline di Serle, piccolo borgo in provincia di Brescia, tra la città e il lago di Garda. Sulle rive della pozza «Meder» si affannano da un paio di giorni decine di volontari arrivati da mezza Lombardia con l’obiettivo di mettere in salvo rospi e rane dalmatine. Qualcuno, nella notte tra sabato e domenica, ha deciso di annegare quel paradiso per piccoli anfibi in amore con quattro taniche di olio esausto, cento litri recuperati in chissà quale officina.

Solo poche ore prima, un centinaio di persone si erano radunate alla pozza per la «Notte dei rospi», una delle serate divulgativ­e promosse dal Comune per l’osservazio­ne del mondo anfibio. Le ragioni del disastro restano un mistero. «Abbiamo trovato una situazione folle — spiega Paolo Baldi, tra i primi volontari arrivati —, la superficie era ricoperta da migliaia di rospi intrappola­ti nell’olio. Un angolo di paradiso distrutto che potrà tornare a nuova vita solo tra molti anni».

Lo scempio è stato scoperto da chi abitualmen­te frequenta la zona, un sito noto per le sue grotte e la natura incontamin­ata, conservata con investimen­ti pubblici che hanno permesso il recupero delle pozze di abbeveragg­io dove prolifican­o gli anfibi. «Un atto Nel lago

Qui sopra uno dei rospi coperti di idrocarbur­i A sinistra, i volontari al lavoro per ripulirli crudele con il quale si è voluto colpire i rospi e i progetti di valorizzaz­ione ambientale e turistica avviati molti anni fa con finanziame­nti del Fondo europeo», spiega il sindaco, Paolo Bonvicini. «Le pozze sono un serbatoio biologico fondamenta­le per l’ambiente, anche dal punto di vista etologico», aggiunge Baldi. Fino a ieri sera si è lavorato affondando le braccia fino ai gomiti in quella melma nera e unta per riportare in superficie i rospi che annaspavan­o a 40 centimetri di profondità. Qualcuno domenica era arrivato in zona per attività contro il bracconagg­io (qui, purtroppo, piuttosto diffuso) e, saputo del disastro, si è unito all’esercito di volontari che ha approntato anche due vasche di emergenza per lavare e mettere al sicuro gli anfibi.

Ieri sera si contavano oltre seimila esemplari salvati. «Ma bisognerà vedere quanti riuscirann­o a sopravvive­re» dice il sindaco. Tutte le uova appena deposte, però, sono andate distrutte. Già ieri sera una società specializz­ata ha iniziato il recupero dell’olio dalla pozza, mentre l’agenzia regionale per l’ambiente dovrà dire con precisione di cosa si tratta. Il mistero dei rospi avvelenati ora è diventato un fascicolo in Procura per disastro ambientale, mentre sul caso è stato convocato un vertice in Prefettura. La caccia all’inquinator­e nemico degli anfibi è diventata una questione di sicurezza pubblica.

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