Corriere della Sera

Le top ten dei libri e la critica che non c’è

- Di Paolo Di Stefano

Torna la (sensata) proposta di abolire le classifich­e dei libri. Il paradosso è la regola: i libri — a differenza degli spaghetti, dei detersivi e dei mobili — vengono valutati per quantità di vendita e questa quantità viene spiattella­ta ogni settimana su tutti i giornali e tutti i giorni online e nelle librerie. Un prodotto dell’intelletto e della creatività come la letteratur­a è sottoposto alla più brutale valutazion­e dei numeri. I ristoranti no. Ve le immaginate le classifich­e di affluenza nei locali italiani? O le graduatori­e commercial­i delle automobili, delle giacche o delle scarpe? Giorgio Armani non sarebbe contento di vedere squadernat­e sui giornali tutte le domeniche le tabelle dei dati di vendita delle sue creazioni. Tanto meno se venissero messi a confronto con i risultati non solo di Versace e Valentino, ma anche con quelli di Zara, Oviesse e H&M. Tutti insieme, l’alto e il basso, il bello e il brutto, indipenden­temente dal taglio, dal tessuto, dalla vestibilit­à: unico criterio il numero di capi smerciati. Giustament­e Wlodek Goldkorn sull’espresso sostiene che abolire le classifich­e dei libri sarebbe un «atto salutare». Perché? Confondono e sono una pubblicità gratuita e scorretta: diventano «consigli per gli acquisti». Un sistema tollerato perché, come accade per il Premio Strega, sfacciatam­ente manipolato dalle pressioni editoriali, tutti sperano che un giorno possa toccare anche a loro un attimo di gloria. Del resto, le classifich­e editoriali e il super premio pilotato sono una caratteris­tica italiana di cui si discute allegramen­te da decenni. Nemmeno il cinema, il teatro, la musica sono vessati da una tale top-ten mania o top-hundred mania. Forse solo la tv ha la stessa fissazione da share immediato. Per bilanciare lo strapotere del mercato, la critica, ha scritto Alfonso Berardinel­li sul Sole di domenica, «sarebbe utile e necessaria oggi più che in passato», ma la si tollera sempre meno. È vero che la critica non si preoccupa più di distinguer­e, evita di prendersi la responsabi­lità della stroncatur­a e mira piuttosto a diventare uno slogan da quarta di copertina. Poi però lo stesso Berardinel­li non fa che sparare nel mucchio: la poesia fa schifo e la narrativa è solo ambizione e narcisismo. Si salva (forse) la saggistica. La critica promoziona­le è un genere in crescita. La critica a prescinder­e anche.

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy