Nella confettura di fagioli rossi c’è il senso della vita
Durian Sukegawa (Einaudi)
In una società ossessionata da tutto ciò che è diverso, non allineato, chi è più reietto? Un’anziana con le mani rovinate dalla malattia, definitivamente guarita ma per molti ancora contagiosa, o un ex galeotto pieno di debiti? Chi ha più da imparare? La donna che ha vissuto per oltre mezzo secolo in un sanatorio o l’uomo non più giovane che cerca ancora la sua strada? Chi ha più bisogno di amore? E di comprensione? C’è un romanzo che prova a rispondere a tutte queste domande. Lo fa con leggerezza e profondità, con quel modo lieve degli autori giapponesi di dare grandi lezioni partendo dalle piccole cose. In questo caso dai dorayaki, dolcetti a base di pandispagna e confettura di fagioli rossi.
Bisogna «mettersi all’ascolto». Tra Le ricette della signora Tokue, così si intitola il libro di Durian Sukegawa uscito per Einaudi con la traduzione di Laura Testaverde (pagine 184, 18), forse è questa la più riuscita. E vale tanto per i fagioli azuki quanto per i raggi del sole e le vicende della vita, anche le più dolorose. Yoshii Tokue è una settantaseienne che in un giorno di primavera, sotto i ciliegi in fiore, si presenta nella bottega di Sentaro, pasticciere senza talento e con molti debiti dopo l’esperienza del carcere. È venuta per chiedere un lavoro, lui sembra deciso a non darglielo, non vuole in negozio una vecchia, per lo più con le mani deformi. Ma cambia idea assaggiando lo strepitoso an, confettura di fagioli rossi, che lei ha preparato. E che rivoluziona le vite dei protagonisti: il principale assume l’anziana, la mediocre bottega Doraharu, frequentata per lo più da rumorose studentesse — fatta eccezione per l’inquieta Sukegawa, 1962 Wakana — si rianima,
le vendite raddoppiano. Già così, con Sentaro che si appassiona al lavoro, con il vociare delle ragazze e l’armonia ritrovata, la struttura del libro avrebbe una sua solidità. Ma è quando le cose cominciano (anzi tornano) ad andare male — il pregiudizio ha la meglio sulla razionalità, perfino sulla medicina, la pasticceria si svuota, la signora Tokue lascia Doraharu — che l’autore (il suo vero nome è Tetsuya Sukekawa, fa il poeta, lo scrittore e il clown, ha una laurea in Filosofia orientale e una in Pasticceria) imprime al testo una forza inedita. Appena i protagonisti si mettono a nudo, rivelando i propri segreti, il romanzo acquista il potere simbolico di una favola, ci mette davanti alle nostre paure e debolezze. Apre uno squarcio sulle esistenze vissute ai margini per scelta, per sbaglio, per caso. Ne vede il dolore, la solitudine, la vergogna. Eppure non perde mai la sua grazia, la stessa che fa dire alla signora Tokue: «Si tratta di osservare bene l’aspetto degli azuki. Di aprirsi a ciò che hanno da dirci. Significa, per esempio, immaginare i giorni di pioggia e i giorni di sole che hanno vissuto».
Piccole lezioni di cucina diventano insegnamenti di vita, riflessioni sul valore dell’amicizia, sul sapere andare avanti anche quando si ha l’impressione che «l’incomprensione della società ci annienti», sulla libertà personale e degli altri. Le ricette della signora Tokue (da cui è stato tratto un film presentato a Cannes nel 2015) è un libro che incita a non arrendersi e a «restare all’ascolto di tutto ciò che ci circonda». A tendere le orecchie «alle parole che la gente comune non riesce a sentire» per «trovare ciò che cerchiamo, grazie alla voce che ci guida». Ed è soprattutto un inno alla vita. Che spesso non è quella che avevamo sognato. Ma che sempre «ha un senso», come scrive l’anziana Yoshii nell’ultima lettera all’amico: «Anche se non diventerà uno scrittore o un maestro dell’arte dei dorayaki, verrà un giorno in cui troverà sé stesso, in cui sarà sé stesso».