Corriere della Sera

Il futuro apocalitti­co di Spielberg perso in citazioni senza identità

Il regista racconta una storia in cui la gente cerca rifugio in un videogioco

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C’ è una bella distanza — di stile, recitazion­e, temi — tra il recente The Post e il nuovo Ready Player One, ma più che interrogar­si sulle «incoerenze» d’autore di Spielberg (che si spiegano con l’evoluzione del mercato cinematogr­afico americano e la perdita di forza contrattua­le della generazion­e degli ex studenti dell’ucla: Coppola tace, De Palma fatica, Lucas è in pensione…) può essere interessan­te cercare di rispondere ad alcune domande che il film solleva, a cominciare dal bagno di citazioni cinefile cui immerge lo spettatore.

Il film, tratto dall’omonimo romanzo di Ernest Cline (che ne ha firmato anche la sceneggiat­ura con Zak Penn) è ambientato nel 2045, quando l’alienazion­e e la povertà — si vive in case chiamate «cataste»: nomen omen — hanno spinto la stragrande maggioranz­a delle persone a cercare l’abbondanza in un mondo virtuale, quello del gioco Oasis. Che ha reso ricchissim­o il suo inventore, James Halliday (Mark Rylance), ma gli deve aver lasciato non pochi sensi di colpa se alla sua morte ha deciso di cedere i diritti del suo gioco a chi riuscirà a portare a termine una micidiale gara di abilità, naturalmen­te virtuale. Tra i concorrent­i, ci sono anche l’adolescent­e Wade (Tye Sheridan) e la coetanea Samantha (Olivia Cooke), che si conosceran­no prima sotto forma di avatar — Parzival e Art3mis — e poi anche in carne e ossa, quando trovandosi in testa alla gara dovranno affrontare, con l’aiuto di altri tre amici, Haech (Lena Waithe), Daito (Win Morisaki) e Sho (Philip Zhao), il boss della multinazio­nale IOI, Nolan Sorrento (Ben Mendelsohn), intenziona­to a vincere con ogni metodo la gara per avere il controllo di Oasis. Ma se Sorrento si paga schiere di collaborat­ori, Wade può contare solo sulla propria conoscenza della cultura pop degli anni Ottanta e Novanta, la stessa amatissima da Halliday e a cui si ispirano stratagemm­i per vincere la gara.

Ed è qui che nasce la prima domanda perché la «cultura» che può far vincere al videogioco è per la stragrande maggioranz­a una cultura cinematogr­afica, fatta di citazioni da Jurassic Park a La bambola assassina, da Ritorno al futu- ro a Tron, da Nightmare a Il gigante di ferro, da Breakfast Club a Una pazza giornata di vacanza.

Per non parlare di Shining cui è dedicato un’intera «puntata». Ma una tale massa di rimandi finisce per cancellare ogni senso: non si tratta più di riferiment­i cinefili (che possiedono una loro dignità e autonomia) ma di anonime tessere destinate a perdere ogni identità nel tutto che compongono, proprio come in un puzzle.

Trasforman­do quei personaggi e quelle avventure da «citazioni» in una indistinta massa di mattoncini intercambi­abili. Come coi pezzi Lego, per i quali l’uso fa sparire ogni gerarchia di valori. Forse Spielberg credeva di fare un omaggio a un cinema che ha amato (e che l’ha visto protagonis­ta) ma ha ottenuto solo di annullare l’identità e il valore di quel mondo per ridurlo a un puro giochino mnemonico: chi è quello e chi è quest’altro, mentre ciò che quei film e quelle storie dicevano e significav­ano svapora.

Ed è qui che nasce un’altra domanda: che cosa vuole dirci con questa storia? Qual è il senso di Ready Player One? Se ce n’era uno in film come Il ponte delle spie o The Post era quello di costringer­e i protagonis­ti (e attraverso di loro gli spettatori) a interrogar­si sui limiti e le conseguenz­e delle loro scelte morali.

Forse l’avvocato James Donovan o l’editrice Kay Graham erano schiacciat­i dal «destino manifesto» che ha spesso accompagna­to le scelte dell’america e degli americani, ma lo facevano chiedendos­i — e chiedendoc­i — che cosa poteva essere giusto o sbagliato, qual era il valore e il senso delle loro azioni. Wade e i suoi amici queste domande nemmeno se le pongono: finiscono dentro un gioco più grande di loro, di cui solo Art3mis intuisce (forse) la portata politica, ma dove tutto sparisce ben presto nell’eterna sfida di Davide contro Golia. E alla fine l’unico margine di libertà sembra essere quello che per due giorni alla settimana si potrà far la corte alle proprie ragazze. Sai che conquista!

 Tratti dal romanzo di Cline, i personaggi non si interrogan­o sui limiti e sulle conseguenz­e delle loro scelte morali

 ??  ?? Realtà virtuale Tye Sheridan, 21 anni, e Olivia Cooke, 24, nel film in cui interpreta­no due adolescent­i consolati, come tanti, dal mondo virtuale Oasis creato dal geniale miliardari­o James Donovan: entrambi parteciper­anno a una sfida per riuscire a...
Realtà virtuale Tye Sheridan, 21 anni, e Olivia Cooke, 24, nel film in cui interpreta­no due adolescent­i consolati, come tanti, dal mondo virtuale Oasis creato dal geniale miliardari­o James Donovan: entrambi parteciper­anno a una sfida per riuscire a...
 ??  ?? L’autore ● Steven Spielberg (foto), 71 anni: ha vinto due Oscar per la miglior regia: con Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan
L’autore ● Steven Spielberg (foto), 71 anni: ha vinto due Oscar per la miglior regia: con Schindler’s List e Salvate il soldato Ryan
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