Corriere della Sera

Dai politici ai social: la sfida del futuro? Riconquist­are la fiducia

Questo numero indaga un valore decisivo per amore e vita pubblica

- di Beppe Severgnini

La fiducia è una cosa seria. È alla base dell’amicizia, dell’amore, della stima: si può guadagnare, non si può imporre. Come potete leggere nei racconti di Emanuele Trevi e Federico Fubini, la questione dovrebbe essere al centro dei pensieri di tutti: non avviene. Ma c’è una giustizia, in materia, che non ha bisogno di tribunali e processi: il tradimento della fiducia si paga subito, e si paga caro.

Facebook, per esempio, ha tradito la nostra fiducia, lasciandos­i sfuggire i dati personali di cinquanta milioni di utenti. Mark Zuckerberg ha chiesto scusa, ma non basta. Non dimenticat­e che la società possiede anche Whatsapp, dove sono contenute informazio­ni ancora più intime: pensate se finissero nelle mani sbagliate. Perché è grave, quello che è successo con Cambridge Analytica (e gravissimo ciò che potrebbe accadere)? Perché i social network sono basati sulla condivisio­ne e la reciprocit­à. D’accordo, devono far soldi: una società quotata a Wall Street non è un ente benefico. Ma ingannare gli iscritti non è solo sbagliato e sgradevole. È sleale.

La sfiducia degli utenti e dei consumator­i non scatta solo davanti al dolo: basta la colpa. Pensate al mercato e al commercio. L’ossessione di ogni marchio, oggi, è apparire degno di fiducia. Un obiettivo ragionevol­e e ammirevole, cui però alcuni vorrebbero arrivare con una scorciatoi­a. Non grazie all’eccellenza di prodotti e servizi, alla trasparenz­a dei comportame­nti e, magari, a una pubblicità efficace; ma attraverso l’adozione di slogan ipocriti e alla moda, l’adulazione a pagamento degli influencer e l’eliminazio­ne sistematic­a di ogni critica, affidata a uffici stampa poliziesch­i.

La fiducia è la principale moneta della politica. È vero, e non solo in Italia: ormai votiamo un partito come tifiamo per una squadra. Con la pancia. Ma la pancia è l’organo più sensibile agli sbalzi di fiducia. Prendiamo le elezioni del 4 marzo. Non c’è dubbio che il grande successo del Movimento 5 Stelle (al Sud) e della Lega (al Nord) sia un’apertura di credito: avanti, provateci voi. Il tracollo del centrosini­stra si può leggere allo stesso modo: molti elettori hanno deciso che non si fidavano del Partito democratic­o, della sua capacità di capire le preoccupaz­ioni nazionali. Una generazion­e ridotta a elemosinar­e piccoli contratti a termine e voi parlate solo della riforma costituzio­nale? Eh no.

Dalla fiducia dipenderà il futuro del giornalism­o, senza il quale — credetemi — qualunque società appassisce. Certo il mezzo è importante: television­e e radio, lo sappiamo, soffrono meno dei giornali. Ma resta un fatto: acquistare il lavoro di un gruppo di giornalist­i è, prima di tutto, una prova di stima e di fiducia. Pagando — una copia, un abbonament­o, un servizio, un commento — dimostrate di credere alla nostra onestà intellettu­ale, alla nostra preparazio­ne, alla nostra utilità. Se non vi fidate di noi, non spenderete soldi per insultarci. Vi limiterete a ignorarci.

Ecco la sfida, nei prossimi anni. Giornali, politici, prodotti e servizi dovranno mostrarsi degni di fiducia. Non sarà facile: i social facilitano sia l’informazio­ne, sia la diffamazio­ne. Riuscire nell’impresa sarà nell’interesse di tutti. Chi sbaglierà, pagherà. Chi, dopo aver illuso, deluderà, verrà punito. Un esito crudele? No, un esito inevitabil­e e giusto.

La lezione

Perché è grave il caso Cambridge Analytica? Perché il social si basa sulla condivisio­ne

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