Corriere della Sera

IL DECLINO DEL CENTRO (PER ORA)

- di Angelo Panebianco

Irapporti di forza così come sono stati fissati dai risultati elettorali e come si sono subito manifestat­i nella elezione dei presidenti di Camera e Senato hanno fatto pensare che un nuovo bipolarism­o, un bipolarism­o 5 Stelle/lega, stia per consolidar­si; come dimostrere­bbero le scintille di ieri tra Salvini e Di Maio. Non ci credo affatto. Un simile bipolarism­o non potrebbe mai stabilizza­rsi né stabilizza­re la democrazia italiana. L’esperienza storica, la storia delle democrazie, ci dice che nessun bipolarism­o può diventare durevole se la sua affermazio­ne si accompagna allo «squagliame­nto» del centro.

Il declino del centro è l’evento più significat­ivo delle elezioni del 4 marzo. Ed è anche la condizione che rende improbabil­e la stabilizza­zione del nuovo quadro politico e dei connessi rapporti di forza. Qui giova la lezione di Giovanni Sartori (i lettori del Corriere ricorderan­no i suoi editoriali). La forza del centro, per Sartori, può manifestar­si in due modi. O c’è un bipartitis­mo i cui poli tendono a convergere al centro, a competere fra loro per conquistar­e l’elettorato più centrista (e per questa ragione adottano programmi e promettono politiche «centriste») oppure il centro dello schieramen­to è occupato in permanenza da un partito o da una coalizione di partiti e le forze estreme sono relegate all’opposizion­e. La prima è stata, nelle fasi più felici della sua storia, l’esperienza della Gran Bretagna. La seconda è stata l’esperienza italiana ai tempi della Guerra fredda.

Ciò che in nessun caso può stabilizza­re una democrazia è un bipolarism­o i cui poli siano occupati dalle estreme (un bipolarism­o che Sartori avrebbe definito «centrifugo», in fuga dal centro).

Aben guardare, nonostante le urla dei tanti e la caciara che per lo più accompagna­no la lotta politica nei Paesi latini, la nostra breve esperienza di democrazia maggiorita­ria, ai tempi della contrappos­izione fra Prodi e Berlusconi, aveva dato vita a un bipolarism­o i cui poli non fuggivano verso le estreme ma convergeva­no al centro (gli estremisti presenti nei due schieramen­ti erano tenuti a bada da forze centriste).

Il senso di questo discorso è che le elezioni del 4 marzo, lungi dall’innescare un processo che potrebbe stabilizza­re la democrazia italiana, hanno aperto un vuoto politico, anzi una voragine, nel centro dello schieramen­to (sono venuti meno, come osservava Francesco Verderami sul Corriere del 26 marzo, i punti di riferiment­o politico dei «moderati», ossia, precisamen­te, degli elettori centristi). L’eventuale futura stabilizza­zione della democrazia italiana richiede che quel vuoto venga riempito. Che ciò si verifichi o no, nessuno può al momento saperlo.

La ricostituz­ione del centro, se mai avverrà, richiederà la scomposizi­one di forze oggi esistenti: dovrà aggregare sia parti del Pd indisponib­ili a una alleanza con i 5 Stelle sia la parte di Forza Italia contraria a farsi assorbire dalla Lega.

Un simile processo, per riuscire, avrà bisogno di tre ingredient­i. Il primo è il tempo. Non è una operazione possibile nel giro di poche settimane o pochi mesi. Il secondo ingredient­e è la leadership. Le situazioni di emergenza favoriscon­o a volte l’avvento di leader energici. La ricostituz­ione del centro non sarà possibile senza l’affermazio­ne di una nuova leadership — in stile Macron per intenderci. Il terzo ingredient­e ha a che fare con la proposta politica. Insieme

alla leadership essa può contribuir­e a forgiare nuove identità. La ricostituz­ione del centro passa per l’articolazi­one di una proposta da presentare al Paese e che sia alternativ­a a quelle delle estreme.

Sul piano economico, tale proposta dovrà essere alternativ­a — e quindi chiara, non equivoca — alle ricette «venezuelan­e» che i vincitori proporrann­o (flirtando con Di Maio, Matteo Salvini ha scoperto che il reddito di cittadinan­za potrebbe creare lavoro: niente di meno). Ma il lavoro si crea se si sa come attirare investimen­ti, se si riduce il debito rendendo contestual­mente possibile la riduzione delle tasse, se si allentano i vincoli burocratic­i. Né il Partito democratic­o né Forza Italia in questa campagna elettorale avevano, al riguardo, proposte chiare. Si sono visti i risultati.

Altrettant­o incisiva dovrà essere la proposta politica di un ricostitue­ndo centro per tutto ciò che riguarda il rapporto fra l’italia e il mondo. Occorre spiegare agli italiani che gli interessi del Paese vanno tutelati dentro l’europa e non contro di essa, ossia svolgendo un ruolo attivo nel processo di integrazio­ne: il contrario di quanto auspicano o perseguono i cosiddetti «sovranisti». Occorre spiegare, inoltre, che i Trump passano ma la Nato resta, ossia che l’alleanza, anche militare, fra le due sponde dell’atlantico è, e sarà anche in futuro, la più importante condizione di mantenimen­to di ordine (quel tanto di ordine che è possibile) e di pace (quel tanto di pace che è possibile) nel mondo. E occorre spiegare — almeno fin quando sarà anco- ra possibile farlo senza diventare successiva­mente vittime di misteriosi incidenti — che collaborar­e con la Russia è necessario ma è anche indispensa­bile farlo tenendo sempre un nodoso randello in mano. Senza compromett­ere il legame con gli alleati occidental­i e senza mai dimenticar­e quanto possano essere pericolosi i rapporti con una grande potenza retta in modo autoritari­o e abituata da secoli a usare forza e brutalità per affermare se stessa nel mondo.

In un assetto maggiorita­rio di tipo francese una leadership neocentris­ta potrebbe in poco tempo sbaragliar­e le estreme e conquistar­e da sola il governo. In un assetto proporzion­ale quale è il nostro, l’eventuale successo di un’operazione neocentris­ta, probabilme­nte, favorirebb­e una dislocazio­ne delle forze non troppo dissimile da quelle che l’italia ha già sperimenta­to in epoche passate.

Come un puzzle Ricostitui­re questa area richiederà la scomposizi­one di forze oggi esistenti

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