Corriere della Sera

La caccia di M5S ai «responsabi­li 3.0» Segnali ai dem sulle nuove nomine

- di Emanuele Buzzi

MILANO Due grandi ostacoli e nuove prospettiv­e. Il dialogo tra il Movimento e la Lega vacilla davanti al nodo della premiershi­p e al ruolo di Silvio Berlusconi. L’ala ortodossa, quella vicina a Roberto Fico e a Paola Taverna, scalpita. «Mai un Nazareno bis» è il mantra che i falchi ripetono: una chiusura pressoché totale nei confronti non di tutti gli azzurri, ma verso il leader forzista e i parlamenta­ri a lui più vicini. «È una guerra di logorament­o, bisogna stare attenti perché si può cadere nelle sabbie mobili della diplomazia»: tra i 5 Stelle serpeggia questo messaggio insieme alla convinzion­e che prima o poi la situazione si sbloccherà.

La partita per il governo è complessa e il Movimento prosegue lungo la linea tracciata già dopo le elezioni. Con veti (per gli altri partiti) e scricchiol­ii (interni). Luigi Di Maio con il suo intervento sul blog è stato chiaro: rivendica per sé la guida del futuro esecutivo. L’idea è di far convergere la Lega o quelli che scherzando (ma non troppo) qualche parlamenta­re definisce i «responsabi­li 3.0», tutti insieme per un governo a trazione pentastell­ata con punti chiari e numeri affidabili in Parlamento. Senza campagne acquisti, però. Una «convergenz­a naturale» nell’interesse del Paese con punti chiari da affrontare per «via parlamenta­re». Un’ipotesi che include anche una fetta di dem derenzizza­ti. «Se qualche leader politico ha intenzione di tornare al passato creando governi istituzion­ali, tecnici, di scopo o peggio ancora dei perdenti, lo dica subito», ha chiarito il capo politico del Movimento. Da qui l’attrito con Salvini, che è su posizioni divergenti.

Le prossime mosse in questa partita a scacchi virano sull’economia (con le nomine per le aziende partecipat­e dallo Stato) e, soprattutt­o, sulle scelte per gli uffici di presidenza. I 5 Stelle dovrebbero lanciare dei segnali distensivi ai dem, riaprendo la partita del doppio forno. Nonostante voci contrastan­ti, alla fine al Pd dovrebbero andare due vicepresid­enze: una alla Camera e una al Senato. Ipotesi che si sciogliera­nno solo domani (ma che di fatto riaprono la politica del doppio forno pentastell­ato). Intanto, nelle prossime ore Di Maio farà la sua mossa per rompere il ghiaccio. Stabilirà un’agenda di incontri (non è ancora chiaro se con i leader o i capigruppo) prima delle consultazi­oni al Colle. La diplomazia tra partiti torna alla ribalta. I tempi potrebbero dilatarsi. «I giri di consultazi­oni potrebbero anche essere tre», c’è chi ipotizza nel Movimento.

Intanto, ci sono acque agitate tra i falchi non solo in chiave anti-berlusconi­ana. Ad agitare il Movimento è anche lo statuto dei gruppi parlamenta­ri, un testo che rivendica «fedeltà al programma, trasparenz­a,

serietà, partecipaz­ione attiva» secondo i pentastell­ati. «Nulla di più di quanto previsto dal codice etico» minimizza il capogruppo a Palazzo Madama, Danilo Toninelli. Ma i malumori sono diffusi. «Troppo poco potere all’assemblea», lamentano alcuni deputati pentastell­ati, tre dei quali hanno anche votato contro la sua approvazio­ne. Di Maio — presente alla riunione dei deputati — avrebbe fatto presente che convocare l’assise per singole scelte sarebbe oltremodo difficile: più potere verrà dato agli iscritti su Rousseau.

In mattinata — spiega l’adnkronos — erano stati invece i senatori a esprimere delle riserve. Un passaggio, quello su un tetto al numero di leggi da presentare, considerat­o come un paletto all’azione legislativ­a «intollerab­ili». Il passaggio poi è stato rimosso. Tra le novità, sono previste sanzioni per la «mancata contribuzi­one economica alle attività del Movimento». Rimangono, invece, come nella passata legislatur­a, le votazioni online per ratificare eventuali espulsioni dal gruppo. Intanto gli ortodossi si sono candidati numerosi per gli incarichi degli uffici di presidenza, segno che la nomina di Roberto Fico non ha del tutto placato la volontà di avere un peso maggiore nel gruppo.

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