Corriere della Sera

Il piano (saltato) M5s-lega con gli azzurri in seconda fila Nel Pd c’è chi spera in Di Maio per un governo di minoranza

Ma Gianni Letta scommette: l’esecutivo sarà tecnico

- di Francesco Verderami

ROMA Ancora l’altra sera Gentiloni scommettev­a con un suo ministro: «Prepara gli scatoloni. Lo fanno, lo fanno...». Nel pomeriggio il premier aveva sentito Di Maio e Salvini, per avvertirli che il governo avrebbe espulso due funzionari dell’ambasciata russa a Roma. Ma aveva intuito che i due stavano pensando a un altro governo: il loro. A chi ha una certa dimestiche­zza con le cose della politica serve poco per farsi un’idea. E siccome aveva già avuto occasione di contattarl­i, aveva avvertito un tono eccitato quando — per ragioni d’ufficio — si era intrattenu­to a parlare di nomine con entrambi: i vincitori.

Chissà se ieri sera Gentiloni è rimasto del suo avviso, o se alla fine dovrà dar ragione a Gianni Letta, secondo il quale «è difficile che possa nascere un governo politico. Semmai un governo tecnico». Perché è vero che Di Maio e Salvini sembravano intenziona­ti a chiudere un’intesa, e chi li aveva visti all’opera li aveva descritti come «due ragazzi con la voglia matta di provarci e di farlo in fretta». Ed è altrettant­o vero che tra i parlamenta­ri grillini e quelli del Carroccio si era creata in questi giorni una chimica, al punto che — dopo l’elezione di Fico alla presidenza della Camera — aveva fatto impression­e la fila di deputati a cinque stelle, in coda per riverire il leghista Giorgetti.

Ma la politica ha una grammatica severa: Prima, Seconda, Terza Repubblica, poco importa. Accomuna chi sta dentro il Palazzo con chi è rimasto fuori, dopo aver votato. Quindi non è un caso se la base del Movimento sia in ebollizion­e, e se i maître à penser del celodurism­o grillino stiano in agitazione. Tanto da aver chiamato addirittur­a la Meloni, alla quale è toccato sentire il travaglio di chi le chiedeva con voce tremula: «Non starete facendo sul serio, vero?». Sarebbe un colpo se la purezza, a loro modo di vedere compromess­a con l’accordo per le cariche istituzion­ali, andasse definitiva­mente persa con l’accordo per un governo politico. Perché Salvini e Di Maio stavano andando avanti, consapevol­i però di avere un problema da risolvere: Berlusconi.

All’alba dell’intesa per le presidenze delle Camere, Forza Italia appariva come un buco con macerie intorno. Brunetta, che aveva esposto il petto per il Cavaliere, aveva lasciato palazzo Grazioli dicendo al suo leader: «Se è così, potevi dircelo prima». Poi al gruppo aveva tenuto un discorso che sapeva di commiato, lasciando intuire quali potessero essere i termini della resa a cui non si sarebbe mai sottomesso: «... E magari ci accontente­ranno con quattro posti di sottogover­no...». Fuochino. Nel disegno di Salvini e Di Maio, infatti, a Forza

Italia sarebbe stato assegnato un ruolo laterale nel governo, con «esponenti di area e non di partito». Così sarebbe stato aggirato il problema.

Il leghista Rixi, come una maestrina, aveva provveduto a spiegarlo a un collega azzurro: «Non vogliamo rompere con voi, però Berlusconi se vuole essere della partita deve capire che può starci solo in modo diverso. È in atto un cambio generazion­ale». Sì, ma Berlusconi sempre Berlusconi resta, con il suo carico evocativo dentro i Cinque Stelle. E le regole della grammatica politica ieri hanno provveduto a evidenziar­lo. L’autocandid­atura di Di Maio a premier è stata insieme una forma di autodifesa e il tentativo di vedere che effetto faceva nel Pd, dove Renzi continua a vigilare su chi vorrebbe cadere in tentazione, continuand­o a punzecchia­re il reggente. La vicenda ha finito per ispirare la vena letteraria di Franceschi­ni: «Renzi sta a Martina come Grillo sta a Di Maio».

Così, a una settimana dalle consultazi­oni, il fixing della

crisi registra che tutti sospettano di tutti. Giorgetti non si fida più dei grillini e li accusa di trescare con i dem. Tra i dem chi si ribella a Renzi aspetta di sentire le indicazion­i di Mattarella, in attesa di uscire allo scoperto al secondo giro di incontri al Quirinale, sperando per allora di «far partire almeno un governo Di Maio di minoranza, così da poter discutere in Parlamento di legge elettorale e di riforme». Forza Italia non si fida della Lega, e infatti si prepara a salire al Colle senza l’alleato. Certo, farà il nome di Salvini come premier, ma a malincuore avrà pronta anche la subordinat­a del governo istituzion­ale. Gentiloni vuole ancora fare la scommessa?

Lo schema

Da 5 Stelle e Carroccio l’idea di offrire a FI posti per esponenti d’area, non di partito

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